La Corte di Appello di Napoli ha emesso una sentenza destinata a far discutere: un maxi risarcimento di 100mila euro è stato riconosciuto a un medico ospedaliero napoletano per il danno da stress causato da orari di lavoro eccessivi, violando le normative europee sulla sicurezza e salute. Ma ciò che spicca in questa vicenda è il ruolo determinante degli avvocati Egidio Lizza e Giovanni Romano, entrambi sanniti, che hanno ottenuto questo importante risultato legale.
Gli avvocati, originari della provincia di Benevento, hanno rappresentato il medico in un processo che ha acceso i riflettori su un problema sistemico della sanità italiana: la carenza di personale che costringe molti medici a turni massacranti, senza adeguati periodi di riposo. Il caso specifico riguarda un medico dell’ASL di Napoli, in servizio dal 2008 nel reparto di ortopedia e traumatologia, costretto a turni ben oltre le 48 ore settimanali stabilite dalla legge, senza godere del minimo riposo giornaliero di 11 ore e del limite di 8 ore per i turni notturni. Una situazione insostenibile che ha compromesso la sua salute fisica e mentale.
Grazie all’intervento dei due avvocati sanniti, la Corte ha riconosciuto il diritto del medico a un risarcimento per “usura psicofisica”, aprendo un importante precedente per tutti i medici italiani che vivono condizioni simili. La sentenza si basa sulla violazione delle direttive europee, come la 2003/88/CE, che stabiliscono standard minimi di sicurezza e salute per i lavoratori. L’importanza di questa vittoria legale è nella possibilità che offre ad altri medici di avanzare richieste simili. Un trionfo che premia la tenacia degli avvocati sanniti, protagonisti di una battaglia che potrebbe avere ripercussioni a livello nazionale.
“La situazione dell’ospedale, caratterizzata da grave carenza di personale – spiegano gli avvocati sanniti Egidio Lizza e Giovanni Romano – lo ha esposto a richieste da parte della dirigenza sempre più pressanti rispetto all’orario di lavoro da svolgere, che è progressivamente divenuto insopportabile e al quale gli era sostanzialmente impossibile sottrarsi, a meno di voler lasciare totalmente scoperto il reparto. Si è trovato a svolgere, per quindici anni, un orario lavorativo ben superiore a quello contrattualizzato, che non gli ha permesso di usufruire di un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, e ad effettuare lavoro notturno per più di 8 ore per periodi di 24 ore continuative nell’arco di una settimana, andando ben oltre le 48 ore di lavoro settimanali. Pur percependo per questo motivo lo straordinario, ha però sviluppato un grave stress che ha minato la sua salute fisica e mentale”, concludono i due legali.