Riceviamo e pubblichiamo il racconto di un figlio che ha vissuto l’esperienza traumatica del proprio papà presso il nosocomio sannita:
“Poteva andare molto peggio…
Quella che un tempo era un’ eccellenza, oggi è terra di nessuno.
Quello che un tempo era il più importante nocosomio della città di Benevento, adesso è praticamente un vuoto a perdere.
E mi riferisco all’azienda ospedaliera San Pio, che anche recenti statistiche nazionali, collocano nei bassifondi delle classifiche degli ospedali italiani per la sempre più acclarata inefficienza ed inadeguatezza.
Sia chiaro, non me ne vogliano i numerosi professionisti che con fatica provano a resistere ed ogni giorno svolgono il proprio lavoro presso il San Pio.
E non me ne vogliano nemmeno i vertici aziendali, perché non voglio entrare nella gestione organizzata ed amministrativa.
Ma non posso non fare riferimento ad un episodio che mi riguarda molto da vicino (riguarda mio padre), avvenuto negli ultimi giorni.
Nel giorno di Natale, dopo aver lamentato qualche dolore addominale, decidiamo su indicazione della dottoressa che segue papà, di ricoverarlo in ospedale, passando dal pronto soccorso del San Pio.
Dopo la classica attesa e dopo aver a loro dire, individuato la problematica, mio padre viene ricoverato presso il reparto di Chirurgia d’urgenza.
Da quel momento, inizia una vera e propria lotta, un tiro e molla continuo, quasi un calvario per certi versi.
L’esimio primario, senza nemmeno aver approfondito con altri esami ad hoc la situazione, decide che si deve intervenire perché a suo giudizio, mio padre ha una colecistite importante.
Mio padre stesso, che sapeva di avere qualche piccolo calcolo, chiede di poter approfondire la cosa, soprattutto in virtù del fatto che lamenta continui episodi febbrili ed è molto affaticato. I segni infatti, sono assai evidenti ed il respiro è pesante ed affannoso.
Ciò nonostante, l’esimio primario non ne vuole sapere e continua a propendere per l’intervento.
Addirittura, in presenza di mio fratello e mia mamma, insiste in maniera anche accalorata, accusando quasi papà di essere sprovveduto.
Mio padre dal canto suo, ascoltato il parere del suo medico di riferimento, continua a chiedere invano esami specifici lamentando dolori dietro la schiena e fiato sempre più corto.
Richieste che restano sempre inascoltate, ragione per cui il giorno 29 dicembre, anche su indicazioni del medico che segue parallelamente papà in questo suo sfortunato percorso, si opta per la firma e per la cura domiciliare, in attesa di esami specifici e di un ricovero successivo presso un’altra struttura ospedaliera campana.
Tutto sembra procedere per il verso giusto, il respiro non è più così affannoso, ma nel tardo pomeriggio di sabato 30 dicembre, ricompare puntuale la febbre, con la temperatura che supera i 39 c° e con il respiro che torna a farsi affannoso.
Per cui, ascoltato nuovamente il parere del medico che ha seguito fin dall’inizio papà in sordina, si decide per un ricovero presso l’ospedale Cardarelli di Napoli, passando dal pronto soccorso.
Dopo una notte con esami specifici ed approfonditi, a papà viene diagnosticata una pleurite severa, che deve essere chiaramente subito circoscritta e curata.
Mi chiedo dunque e chiedo anche a tutti i cittadini che potrebbero trovarsi in situazione come quella di papà: è giusto tutto ciò?
Perché chi ha fatto il giuramento di Ippocrate, non si comporta alla stessa maniera? Perché muoversi a compartimenti stagni? Perché insistere su una diagnosi che poi si rivela infondata?L’esimio primario, dorme sonni tranquilli? O per lui i pazienti sono solo robot a comando, da “aprire” ed “aggiustare” a suo piacimento?
Oggi, possiamo dire di essere stati fortunati e non posso non ringraziare la professionalità, l’abnegazione e la costanza di una professionista che ha capito in tempo che qualcosa non andasse ed ha agito in maniera limpida, precisa e puntuale rispetto all’esimio collega.
A lei va il mio grazie e quello della mia famiglia.
Come il nostro grazie va a tutti i professionisti e le professioniste della sanità, che operano quotidianamente presso le strutture ospedaliere regionali e nazionali.
Un ultimo appunto, concedetemelo.
Fate presto, davvero. Chi di dovere intervenga in maniera repentina.
Il San Pio, purtroppo, è sempre più un malato terminale…”