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di Valentina Scognamiglio

Una meravigliosa attrice in una nuova veste, Kasia Smutniak ha parlato sul palco di piazza Santa Sofia della sua prima opera come regista, un documentario, ‘Mur’, che racconta di un muro costruito in acciaio lungo i confini della Bielorussi, alto cinque metri e mezzo e lungo cento ottantasei chilometri, il cui scopo è quello di impedire ai migranti verso la Polonia, terra Natale della Smutniak, di entrare nei loro territori.

Un racconto sentito quello di Kasia che ha spiegato, visivamente emozionata, come da dopo il COVID, e poi con la guerra scoppiata in Ucraina, le sue priorità siano cambiate. In un mondo in cui pochi parlano di queste tragedie, in un mondo dove esistono 12 muri che impediscono a persone disperate di trovare un po’ di pace, muri che non sono nemmeno chiamati così perché il Muro è stato e sarà sempre uno solo per noi europei, la Smutniak ha sentito l’urgenza di parlare di quello che stava accadendo nella sua Polonia, dove l’ennesimo muro di separazione veniva costruito.

Così, per una settimana a marzo del 2022 insieme all’amica regista e sceneggiatrice Mirella Bombini, è tornata nella in Polonia dove ha mostrato cosa fosse quel muro, in quel momento non ancora terminato, e come le anime buone, quelle che non si mostrano quasi mai e che non mostrano nemmeno il loro operato, aiutavano i profughi a salvarsi, visitando la sua famiglia e mostrando come un passato per lei mai dimenticato, quello dell’olocausto, dei campi di sterminio, dei ghetti, possa tornare sotto gli occhi di chi fa finta di non vedere.

E proprio da questo nasce l’urgenza di Kasia di raccontare questi orrori, dalla domanda che si è posta di come sia possibile reiterare gli stessi eclatanti errori perdendo ancora un’umanità che probabilmente non più molto a che fare con gli esseri umani. Come sia possibile che accada ancora ma che nessuno ne parli pur vivendo in un mondo dove la comunicazione è immediata e alla portata di tutti. Come sia possibile fare finta di niente.

“Ho capito che quando si è all’interno di una realtà non c’è la distanza del tempo che permetta di vedere le cose per come sono, per cui bisognerà aspettare qualche anno prima che il nostro sguardo si concentri su quello che abbiamo vissuto per capire”.

E sotto questa nuova ottica Kasia ha rivelato che da quando è arrivato il COVID nulla dei progetti che le sono stati proposti l’ha interessata davvero perché nulla rispecchiava il momento storico, nulla era realmente importante per lei, e ha aggiunto anche che ora non vuole più perdere tempo dietro progetti che non comprende a pieno o che per lei non hanno rilevanza, perché in questo momento il tempo è prezioso e lei non lo vuole sprecarlo dietro qualcosa che non sente appartenerle, perché in una visione molto romantica “Devo credere che quello che faccio può cambiare il mondo”.

E con tanta emozione da parte di tutti, proprio dalle mani dei genitori di Valentina Pedicini, l’attrice e ora regista ha ricevuto un premio in sua memoria come ‘Miglior documentario della stagione, Mur’.