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Benevento – Domenica 27 febbraio, come secondo appuntamento del suo nuovo prestigioso cartellone 2022, l’Accademia di Santa Sofia, sempre in  collaborazione con l’Università degli Studi del Sannio, e valendosi della direzione artistica di Filippo Zigante e Marcella Parziale e della consulenza scientifica di Marcello Rotili, Massimo Squillante e Aglaia McClintock, ha proposto al pubblico di Benevento una straordinaria serata in compagnia di maestri indiscussi del jazz, tra i migliori del nostro panorama nazionale, che hanno spaziato attraverso un gustosissimo repertorio oscillante tra brani standard e nuove, freschissime, composizioni (ma dallo squisito gusto retrò), in un gioco di specchi, liberatorio ed esaltante, pieno di citazioni e rimandi continui tra dixieland e swing, bebop e hard bop, viaggiando tra New Orleans, Chicago, New York, caraibi e sudamerica, ricordando Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, John Coltrane, Thelonius Monk, Gerry Mulligan, Chet Baker, e molti altri mostri sacri del Jazz, fino al respiro largo delle big band o delle mitiche grandi orchestre di Cole Porter, George Gershwin, Count Basie, Bennie Goodman, Duke Ellington, Glenn Miller. La storia del Jazz. La storia della musica.

Fabrizio Bosso, definito a ragione il migliore trombettista jazz italiano, si concentra e addomestica ogni brano con il gusto e l’eclettismo che caratterizza il suo fraseggio chiaro, poliedrico, dalla gamma espressiva infinitamente ricca di sfumature e inflessioni, ritmiche e melodiche, ora energiche e sferzanti ora sussurrate e morbide, ora incalzanti e insistenti ora discrete e schive.  Il piacere con cui suona, simile a una trance timida o scanzonata, sia nei formidabili solo sia quando è un tutt’uno con l’ensemble, traspare in tutte le esecuzioni e accresce la percezione complessiva di una performance sempre speciale.

Nico Gori, sassofonista, clarinettista compositore tra i più apprezzati nel panorama musicale italiano, magistrale incantatore di angosciate platee (visti i tempi), giganteggia col clarinetto e al sax, nei serratissimi scontri dialettici e stilistici di impressionante calibratura, con il quartetto o con l’amico Bosso, dando vita a innumerevoli sviluppi armonici e infiniti piacevolissimi spunti melodici.

Claudio Filippini bravissimo al pianoforte, sostiene tutti gli strumenti con un suono corposo e presente, o con interventi misurati e puntuali dal gusto raffinato, completando magistralmente le composizioni, e definendone perfettamente stile e derivazione. Nei soli, sorprende letteralmente acquistando ancor più carattere e offrendo al pubblico ancor più precise suggestioni Gospel e R&B con una punta di Ragtime.

Igor Caiazza, compositore arrangiatore, percussionista classico e vibrafonista e batterista Jazz è un orologio perfetto, ma umano e creativo, dai mille ingranaggi ritmici e sonori che riescono a dialogare  e contrappuntare con infinito ingegno e fantasia a tutte le voci  proposte dagli altri strumenti  in uno stimolante scambio continuo che è poi naturalmente reciproco.

Dopo l’apertura Cool Jazz con lo standard Bernie’s Tune (1952), l’ottimo Aldo Vigorito solido e rassicurante al contrabbasso, introduce con un solo ipnotico e struggente, soave e coinvolgente,  il celeberrimo standard Body and Soul (1930) eseguito con incantevole maestria e gusto. E il pubblico è completamente conquistato.

Seguono due brani composti da Igor Caiazza, L’attesa e Brindisi all’amicizia, e un ritmo di bossanova risuona nell’auditorium grazie ai mille linguaggi del Jazz.

John Coltrane rivive letteralmente con Impression (1963) ed è un viaggio nel tempo e nello spazio. La sicura amalgama tra i cinque stregoni dell’improvvisazione è ormai assodata e il pubblico conquistato si fa portare ovunque. Spettacolari Bosso e Gori.

Arriva Misty (1954), altro raffinatissimo standard, che nasce dal piano, protagonista, per poi contagiare con emozionante intensità e mille rivoli di illuminanti intuizioni,  fiati, contrabbasso e batteria. La versione cantata svolse un ruolo chiave nella trama del film del 1971 Brivido nella notte (titolo originale Play Misty for Me) interpretato e diretto da Clint Eastwood.

Chiude la scaletta Road Song (1968), un capolavoro di Wes Montgomery, uno dei più grandi chitarristi nella storia del Jazz (erede di Django Reinhardt e Charlie Christian),  inventore del finger picking, la tecnica di pizzicare le  corde col pollice per ottenere un suono più caldo e ovattato.

La versione che ascoltiamo, palpitante, apre mille cassetti della memoria ricordando piacevolmente le indimenticabili colonne sonore  dei noir polizieschi americani anni ‘70.

Il bis invocato ad applausi scroscianti porta alle note e al ritmo travolgente di Honeysuckle Rose (1929) del leggendario Fats Waller, uno standard che ci riporta a New York quasi agli albori della musica Jazz.  

Il programma musicale è stato preceduto da un intervento del Rettore dell’Ateneo Sannita Gerardo Canfora che ha intavolato un’interessantissima riflessione divulgativa sui famigerati algoritmi e su come spesso ci vengano raccontati come pervasive e inquietanti intelligenze artificiali, quando invece, al contrario, sono solo strumenti programmati dall’uomo e funzionali a quell’unico scopo contingente per i quali sono stati creati. Ogni operazione compiuta da loro, limitata e specifica, è stata programmata, non ha consapevolezza, ovviamente, e non può inequivocabilmente essere paragonata alla incalcolabile complessità di una mente umana. In conclusione, ha poi ricordato Canfora, gli algoritmi non sono né buoni né cattivi, ma non sono mai neutri poiché assumono valenza positiva o negativa a seconda dell’uso che se ne fa. La creatività umana è un dono prezioso ma non deve mai prescindere dal senso di responsabilità. Valutazione più che mai attualissima. Doverosi e sentiti i saluti iniziali con un pensiero rivolto alle popolazioni sofferenti coinvolte nella guerra, di Marcella Parziale e Maria Buonaguro, presidente amici dell’Accademia.