Tempo di lettura: 5 minuti

“Play what you feel”…suona ciò che senti. Tra musica, emozioni ed entusiasmo è un successo il concerto a “passi di Jazz” con la voce, il fascino, il cuore e il talento musicale di Beatrice Valente, abbracciata al suo fedele contrabbasso, e affiancata dal suo affiatato ensemble.

Il Beatrice Valente Quartet, venerdì sera all’Auditorium San Vittorino ha regalato al folto pubblico di Benevento, il suo concerto “Play what you feel”, secondo appuntamento della rassegna “Jazz steps – I venerdì del Jazz”, terza costola della poliedrica Stagione concertistica 22/23 dell’Accademia di Santa Sofia, sempre realizzata in sinergia con l’Università degli Studi del Sannio e il Conservatorio di Benevento, sotto la direzione artistica di Marcella Parziale e Filippo Zigante, e con la consulenza scientifica di Marcello Rotili, Massimo Squillante e Aglaia McClintock. La bella rassegna Jazz è curata artisticamente dal M° Umberto Aucone che ha brevemente presentato il concerto dopo le consuete parole di accoglienza di Marcella Parziale e Maria Buonaguro, Presidente Amici dell’Accademia S.Sofia.

Beatrice Valente, classe ’93, è una contrabbassista, bassista e cantante italiana, nata e cresciuta in una famiglia di musicisti e artisti, che respira musica e jazz fin dalla culla, e che, a quattordici anni, si è innamorata del basso elettrico.
Durante un ricco e variopinto concerto, Beatrice Valente, di nome e di fatto, fa sfoggio del suo generoso talento di strumentista e cantante, a suo perfetto agio con il suo strumento d’elezione, il contrabbasso e dotata di una voce limpida e cristallina, dagli eleganti virtuosismi, che vira spesso e volentieri su ricercate sonorità flautate e affascinanti morbidezze vellutate. Diplomata al Conservatorio di Benevento ammette, durante la serata, di essere emozionata a esibirsi come artista proprio nella città che ha l’ha vista muovere i suoi primi passi nella musica.

Ad accompagnarla con giocosa maestria, il fratello, Ergio Valente al pianoforte, Rocco Sagaria alla batteria, e Massimo Barrella alla chitarra. Il loro è un quartetto nato dalla gioia di fare musica insieme, con il desiderio di unire le differenti esperienze, per comunicare nuove atmosfere sonore, vibrazioni e ritmi incalzanti. E così studio e approfondimento, divertimento e passione per i variegati linguaggi del Jazz, si fondono nelle mirabolanti improvvisazioni acrobatiche, tra inconsuete elaborazioni armoniche e svolazzi melodici.

E i quattro magnifici artisti ci regalano un viaggio musicale che fluttua dalle Americhe al Mediterraneo, e ritorno. In un vortice che va da “I’ve Got the World on a String”, standard jazz del 1932, composto da Harold Arlen (l’autore di “Over the Rainbow”) e portato al successo da Cab Calloway, leggendario cantante del Cotton Club di New York, e ripreso poi da Bing Crosby e da Frank Sinatra, che ne fece una hit, solo per citare alcuni dei miti che l’hanno interpretata; per passare poi ai sapori latino-brasiliani di “Flor de lis” del 1976, forse la bossa nova più conosciuta di Djavan.

Arriva poi un commovente omaggio al genio e alla grazia di Pino Daniele con una versione struggente di “Quando”, dedicata anche al suo grande contrabbassista Rino Zurzolo, prematuramente scomparso, che Beatrice ha avuto come maestro e mentore.
È la volta di un inedito, “Fly”, composto proprio dalla Valente e dedicato con profondo affetto al suo contrabbasso, solo apparentemente ingombrante zavorra e pesante compagno di viaggio, che invece le cambia la vita, permettendole ogni giorno di spiccare il suo inarrestabile volo. Torna il calore di Rio De Janeiro, con una composizione di Carlos Lyra, “Influência do Jazz”, altra affascinante bossa nova, dove il batterista, Rocco Sagaria, offre un saggio esplosivo del suo straordinario talento.

Il sesto brano è una folgorazione di rara bellezza, raffinata e spumeggiante, intitolata “Blame it on my Youth” altro capolavoro, standard jazz, cantato da tutti i più grandi, scritto nel 1934 da Oscar Levant, artista poliedrico, pianista, compositore, autore, attore, conduttore e tanto altro, che ricordiamo anche nel film capolavoro “Un americano a Parigi”.
Segue ancora un omaggio al Sudamerica, con il brano “Brazil” di Jobim.
Non poteva mancare “lo standard” di gran classe “It Don’t mean a thing, (If It Ain’t Got That Swing)” (1931) di Duke Ellington, dove abbiamo ammirato il piano di Ergio Valente e la batteria di Rocco Sagaria, affrontarsi in una serratissima gara di “solo”.
Ecco poi un omaggio alla storia della musica leggera e ai cantautori italiani, con un ricordo di Luigi Tenco e un grande arrangiamento della sua “Mi sono innamorato di te” del 1962.
E poi Beatrice Valente affronta con garbo e trasporto le raffinate note e le toccanti parole di “Oh Che Sarà” scritta da Ivano Fossati su una traduzione, accorciata, della canzone O que será del cantautore brasiliano Francisco “Chico” Buarque de Hollanda. Ci cattura il bellissimo gioco a due voci, di grandissimo effetto, tra la chitarra di Massimo Barrella e il pianoforte di Ergio Valente.

L’ultimo brano è un altro storico standard, “(Get Your Kicks On) Route 66”, dove la chitarra di Massimo Barrella, spadroneggia alla grande, pur sempre nel grandissimo “interplay” con tutti gli altri strumenti, dove il contrabbasso freme e balla letteralmente, fino ad arrivare al vivacissimo dialogo finale, tra batteria e voce, il tutto in un tripudio esaltante di esemplare tecnica be-bop. Gli applausi scroscianti, i tanti “bravi” e “bis” del pubblico esultante, portano i nostri bravissimi musicisti a un doveroso bis, un “Samba brasileiro”, per chiudere in bellezza. (Monica Carbini).