Non esiste fonte di guadagno, se non quando si supera lo scoglio dei tornei regionali, si rischia durante la partita di calcio e non si e’ parte attiva, non si tiene il pallone tra i piedi, si esulta o si impreca. Vestire la divisa dell’arbitro e’ passione, e’ quasi una missione perche’ si abbraccia un percorso diverso dagli altri, quello dell’uomo solo, spesso visto come nemico, giudicato sul campo per le decisioni prese e dalla gente all’esterno.
Tutte cose messe in chiaro e che non devono spaventare i quasi 100 iscritti che si sono ritrovati all’interno dell’Auditorium Spina Verde per la presentazione del corso arbitri della Sezione di Benevento. Daniele Mazzulla a fare gli onore di casa, Marco Guida, internazionale, a fare da ospite e narratore. Il fischietto di Torre Annunziata ha cominciato questo percorso proprio seduto in una sala ed e’ diventato uno dei migliori arbitri in attivita’.
Dieci lezioni e poi l’esame e da gennaio 2025 si potra’ indossare la divisa, prendere cartellini e fischietto e cominciare a percorrere i campi della provincia col sogno di arrivare nel calcio che conta.
“Abbiamo scelto proprio questo quartiere – ha iniziato Mazzulla – con un’idea precisa. Deve essere la speranza per i tanti ragazzi del quartiere di abbracciare questa passione. Si tratta di un hobby che comporta sacrifici e un’idea precisa: non si puo’ pretendere il rispetto delle regole nel campo e non rispettarle all’esterno. Un comportamento che porta a modificare l’atteggiamento in campo o a smettere di fare gli arbitri. Sappiate che sarete seguiti all’inizio, poi tocchera’ a voi fare il percorso in autonomia. E ai genitori dico che i ragazzi diventeranno uomini migliori”.
“Qui si parla di passione – ha cominciato Marco Guida. I genitori possono stare sicuri: i loro figli vengono affidati a persone perbene che lavorano senza guadagno e che lo fanno solo per il bene e la crescita dei vostri figli. Ho cominciato in un anno sabbatico dal calcio, volevo fare il giocatore. Dopo le prime tre gare mi sono dimesso perche’ non provavo le sensazioni del giocatore ma mi chiesero all’epoca di aspettare e pensarci e da quel momento e’ cominciata la mia carriera. Fare l’arbitro e’ un’esperienza formativa che vi portera’ a decidere. La partita non e’ solo un calcio di rigore o un cartellino ma e’ la capacita’ di relazionarsi con altre 22 persone, le panchine e la gente che sta fuori. E di esperienze ne ho fatte tante, anche nel beneventano. Ricordo di partite arbitrate a Ponte, ero un ragazzo che sognava di arrivare in Serie A e ce l’ha fatta”.
Una missione per certi versi, specie in Campania dove si sono sentite storie che, spesso, vanno al di la’ del campo di gioco.
“Non so se questo e’ l’hobby giusto per i ragazzi di 15 anni, ma di sicuro so che si responsabilizzano e prendono decisioni. Certo, ci sono territori difficili, ma dalle nostre parti e’ importante che i ragazzi facciano prima sport per stare lontani da altre dinamiche di vita che tutti conosciamo”.
Una figura, quella dell’arbitro, che e’ cambiata nel corso del tempo. Questa e’ l’epoca del Var, uno strumento che, comunque, non cambia la sostanza.
“Il percorso da fare e’ lo stesso. Conta non perdere la figura centrale nella decisione in campo. Cio’ che cambia e’ la tempistica della decisione. Prima di fischiare c’e’e una decisione presa, mentalizzata e poi fischiata. Questa e’ l’unica difficolta’ aggiuntiva”.