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Riceviamo e pubblichiamo la nota di Luca Coletta, avvocato e presidente Comitato “Giù le Mani dai Pini”.

“Risolte efficacemente le questioni cruciali, mai come in questo momento di vacche grasse formato europeo e sereni orizzonti di gloria e prosperità, possiamo dedicarci al superfluo!!

Così, dopo mirabili interventi che non sembrano aver migliorato la qualità della vita dei beneventani né l’attrattività della città – dalla passeggiata sulla riva del fiume Calore alla sensazionale fontana dinanzi alla Stazione, dal fantomatico centro commerciale Malies alla stravolta struttura museale prospiciente il Duomo, detta affettuosamente il “mamozio”, dal Parco “acquatico” di Cellarulo alla “peschiera” spartitraffico a ridosso del Ponte Calore, dal parcheggio inesplorato  di Via Colonnette alle numerose opere in fieri di era mastelliana, destinate a mutare il volto della città, tra cui l’edificio pluripiano nel piazzale del Collegio la Salle, la distruzione del Viale Degli Atlantici, la nuova illuminazione di Corso Garibaldi a scapito degli storici lampioni (come tra l’altro già avvenuto per i Giardini Piccinato), la manutenzione ordinaria e straordinaria di qualche marciapiede e il rappezzo delle buche stradali qua e là – ecco finalmente un nuovo progetto, forse il più importante tra quelli inserito nei PICS: la riqualificazione dell’area in cui è ubicato il simbolo stesso di Benevento, l’Arco  di Traiano .

Eppure, stando ai soli resoconti giornalistici – in mancanza, secondo i costumi del Mastellistan, di qualsivoglia idonea forma di partecipazione alla e della cittadinanza – il progetto consisterebbe, all’osso, nella mera ripavimentazione dell’area pedonale intorno all’Arco e nella realizzazione alla  destra del monumento di una struttura espositiva, un Lapidarium, di 13 metri per 7 per 2,70 di altezza, destinata a ospitare “reperti coevi o risalenti a epoche storiche antiche come ceramiche, epigrafi lapidee, materiale scultoreo” e così via.

A questo punto un dubbio ci assale. E, sfidando lo sguardo severo dell’illustre urbanista di turno, quello inorridito del competente architetto dirigente, nonché la comprensibile accusa di cialtronesco disfattismo mossa da chi ci governa, osiamo chiederci se, per una migliore fruizione dell’eccezionale monumento, serva realmente quanto previsto.

Il tutto mentre intere parti della città di una certa rilevanza – come l’area “dei bagni” tra via Posillipo e piazza Cardinal Pacca, la zona della casa natale di San Gennaro, il ponte Leproso, l’area intorno all’Anfiteatro nei pressi della Stazione Appia oppure i due decumani, da via San Filippo a via Annunziata, dalla Prefettura a via Gaetano Rummo, dall’Arco del Sacramento alla Chiesa del Gesù Bambino di Praga – sono abbandonate senza idonea manutenzione.

C’è da dire che, in un presunto afflato ecologico, saranno recuperati per la “nuova” pavimentazione, a mezzo operazione notoriamente poco agevole e costosa, i caratteristici basoli in pietra vesuviana di via dei Mulini – tolti perché scomodi e pericolosi, a dire degli abitanti del posto, – per essere riposizionati presso l’Arco, ovviamente anche a danno di una parte dei giardini che oggi lo circondano.  

Sarà così possibile in un colpo solo, da un lato tranquillizzare gli automobilisti di via dei Mulini, dall’altro ripavimentare una zona che non sembra avere tale necessità, per di più abbrustolendo nei mesi caldi dell’anno i turisti, previsti a frotte causa irresistibile attrazione da Lapidarium.

Saremo temerari, ma a questo punto ci domandiamo: ma che c’azzecca una struttura – originariamente addirittura di dimensioni ancora maggiori – al lato di un monumento talmente importante e bello da bastare a se stesso, necessitante solo di tutela e cura certosina e la cui vista andrebbe lasciata quanto più libera possibile? Il tutto a scapito del verde, di per sé discreto, salutare ed elegante elemento architettonico.   

Qualcuno, più prosaicamente, si è posto il problema di chi provvederà a custodire, fare costante manutenzione e tenere pulita la teca e l’intera area?

Insomma valeva e vale la pena spendere, ora e in futuro, centinaia di migliaia di euro pubblici in questo modo?  A chi giova realmente tutto ciò?”