Esiste una “filosofia” di Fabrizio De André? E, in caso di risposta affermativa, cosa vuol dire “filosofia”? Queste le questioni centrali che ieri, in un’aula “Palatucci” gremita, l’ANPI e il Giannone hanno posto nell’omaggiare Faber, portatore di quello che Simone Zacchini (dell’Università di Siena), autore del libro al centro della discussione (“La filosofia di Fabrizio De André”, il melangolo), ha definito icasticamente “anarchismo magico”.
Dopo i saluti del Presidente dell’ANPI Sannio, Amerigo Ciervo, al Liceo per quasi trent’anni, che ha ricordato quanto sentito sia il bisogno di antifascismo (circa 500 le tessere dell’Associazione quest’anno) e l’importanza di trasmettere valori etico-politici (il rifiuto della guerra, la solidarietà con gli ultimi, la capacità di andare in “direzione ostinata e contraria”) di cui l’autore de “La guerra di Piero” fu “portatore sano”, e quelli della Dirigente Teresa De Vito, orgogliosa di ospitare un’iniziativa dell’ANPI dedicata a quello che Fernanda Pivano definì il maggior poeta italiano del secondo Novecento, gli Osso Sacro, recentemente selezionati per il prestigioso Premio Loano con il loro “Urla dal confine”, hanno eseguito, emozionando, “Ho visto Nina volare”, per poi eseguire, nella seconda parte dell’incontro, tre pezzi del loro lavoro, molto influenzato dalla ricerca musicale di De André.
Introdotta da Nicola Sguera, responsabile dell’Officina “Maria Penna”, che ha ricordato come uno degli ispiratori del libro, Franco Cassano (scomparso nel 2021) con il suo “pensiero meridiano”, fosse stato ospite in questo stesso luogo in occasione del 150° anniversario del Liceo, si è avviata una densissima discussione tra la giovane studiosa affiliata all’ANPI, Mariantonica Coppola, e Simone Zacchini, che ha toccato tutti i temi del libro: la concezione della natura di De Andrè, maturata prima nella sua infanzia “contadina”, poi nella scoperta della civiltà mediterranea, la visione della donna come incarnazione del potere generativo, il tempo ciclico, il rifiuto dei valori “borghesi” e la secessione dall’Occidente.
In particolare, è emerso come Faber non abbia mai ambito ad essere un filosofo nell’accezione consueta del termine ma che le sue domande di senso, di cui sono incarnazione moltissimi dei suoi personaggi (anonimi o con pochissimi elementi di specificazione in modo da rendere possibile la loro trasfigurazione universale), costituiscano una “filosofia” che, dunque, va intesa non come sistema ma come inesausto tentativo di rispondere alle sollecitazioni esistenziali (con una canzone piuttosto che con un opera teoretica). Egli appare, alla fine del percorso, il cui momento “punto di svolta” è considerato “Creuza de mä” (1984), l’“ultimo greco” che, dopo aver fatto esplodere il Logos occidentale, tutto centrato sulla ragione “borghese”, nella scia di Nietzsche e Pasolini, recupera il “Mythos”, attraverso il dialetto ligure e la cultura meticcia del Mediterraneo. Se il mondo dominato dall’economia, abitato da tristi consumatori è divenuto inumano, questo il messaggio che appare ad una rilettura unitaria dell’intera opera del “miglior Faber”, non rimane che la fuga: una navigazione in direzione “ostinata e contraria” che ricolleghi l’uomo alle fonti smarrite di senso.