Le due ultime serate televisive di Rai Uno hanno riportato alla memoria dei telespettatori, per chi ha vissuto quel periodo, è proposto alle leve più giovani, per chi è solo nato in quegli anni o anche dopo, la triste parentesi del terrorismo in Italia.
La fiction ‘Il nostro generale’ ha riproposto una ricostruzione storico cinematografica della figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che tra le tante medaglie appuntate al petto ha quella di essere stato protagonista della lotta al terrorismo negli anni ’70 e poi demandato alla lotta alla Mafia, sotto i cui colpi, però e purtroppo, morì nel 1982.
Le fiction Rai, che vede Sergio Castellitto interpretare Dalla Chiesa, ha visto tra gli altri protagonisti delle prime due serate anche il personaggio del ‘Trucido’ uno dei super poliziotti di cui si era attorniato il generale Dalla Chiesa per costituire i nuclei speciali per combattere il terrorismo.
Non sarà sfuggito ai più che durante la prima serata il ‘Trucido’ si era presentato come proveniente da Benevento e che il suo slang e il suo accento nella fiction era di marca campana. Ciò grazie all’attore di origini salernitane Andrea Di Maria che lo interpreta nella finzione televisiva. Ma il ‘Trucido’ non è un personaggio frutto dell’inventiva degli autori.In realtà si tratta di un personaggio storicamente esistito che, proprio come riferisce nella fiction, negli anni ’70 a Torino ha combattuto il terrorismo da carabiniere al fianco del generale Dalla Chiesa.
‘Trucido’ al secolo è Pasquale Vitagliano ed oggi si gode la sua meritata pensione da servitore dello Stato a Buonalbergo, sulle colline sannite che si affacciano sul Fortore beneventano.
“All’epoca la gente fermava mia madre e le chiedeva: Lucia, ma sei sicura che tuo figlio faccia davvero il carabiniere? – ha ricordato lo stesso Vitagliano – “Dovevamo conciarci così da ‘fricchettoni’ per poterci infiltrare nelle manifestazioni degli studenti e degli operai e raccogliere informazioni utili sui brigatisti. Il generale ci disse che dovevamo imparare a pensare come loro e che dovevamo scordarci di avere una vita privata. Infatti, mi sono sposato a 37 anni e mezzo”.
Vitagliano ha poi proseguito a ricordare il generale Dalla Chiesa: “Era talmente austero che poteva risultare antipatico. Invece era un uomo di un’infinità bontà. Si comportava come un padre, ci strigliava quando sbagliavamo e ci incoraggiava nei momenti di difficoltà. Stava sempre con noi: quante volte abbiamo diviso una pizza fredda nello stanzone dove ci riunivamo. Ho tanti ricordi personali che mi legano a lui”.
Poi la mente va alle operazioni più importanti a cui il ‘Trucido’ ha partecipato al fianco di Dalla Chiesa. “Ho partecipato direttamente agli arresti di Marco Donat-Cattin, il figlio di Carlo, uno dei capi della Democrazia Cristiana, e di Patrizio Peci. Marco, era uno dei capi di Prima Linea e partecipò direttamente a vari omicidi, tra cui quello del giudice Emilio Alessandrini, era riuscito a scappare in Francia, ma con il collega Luigi Tarantino, riuscimmo a rintracciarlo e arrestarlo. In quanto a Peci, lo arrestammo assieme a Rocco Micaletto. La sua cattura fu fondamentale perché fu il primo brigatista a dissociarsi e a raccontare la struttura dell’organizzazione”.
La parte più triste di quella parentesi di vita è stata sicuramente l’assassinio del generale. “Ero ancora a Torino. – Ha ricordato Vitagliano – Ero appena entrato in un locale che frequentavo . Il titolare mi guardò in faccia e io capii subito, gli chiesi: Hanno ucciso Dalla Chiesa? Nessuno di noi fu felice quando accettò di diventare Prefetto di Palermo. Già a Torino aveva dovuto subire invidie e gelosie e tornare a Palermo con una carica governativa che non gli consentiva di portarsi i suoi uomini, equivaleva a mandarlo allo sbaraglio. Ma si sentiva un servitore dello Stato”.
Poi non manca a ‘Trucido’ una parentesi per i rimpianti. “Io e i miei colleghi abbiamo dedicato dieci anni della nostra vita a combattere il terrorismo, ma non abbiamo avuto nessun riconoscimento, nemmeno un encomio. In compenso, conservo tra gli oggetti più cari una medaglietta che il generale mi donò, accompagnata da un bigliettino su cui scrisse: “Bravo, Vitigliano! Abbiamo una chat chiamata ‘Sezione anticrimine Torino’. Qualcuno purtroppo non c’è più, ma con gli altri ci chiamiamo ancora con i soprannomi che avevamo in quegli anni: Trucido, Valcareggi, Calimero, Serpico, Venticello, Flash. Eravamo pochi e potevamo contare su scarsissimi mezzi. Eppure, nonostante tutto, abbiamo vinto noi”.