Otto anni senza un colpevole. Un femminicidio avvenuto al Parco Cellarulo: la vittima si chiamava Esther, era nigeriana e si prostituiva nei pressi delle immediate vicinanze della Stazione centrale di Benevento. Nessun indizio, nessuna pista, nessun colpevole. Questi i dati di fatto per una vicenda che si è accanita crudelmente nei confronti di una allora 36enne, venuta da lontano per essere sfruttata ed infine per perdere la vita in una città italiana. Questa amara storia di cronaca nera è stata ricordata oggi per iniziativa di Libera per cercare di esprimere l’amarezza della cittadinanza e per auspicare una ripresa o una svolta nelle indagini. Esther merita che le sia data giustizia e che il colpevole della sua morte venga individuato e paghi la sua colpa. A partecipare alla manifestazione che si è svolta in un pomeriggio assolato ma ventilato, di metà giugno erano presenti altre associazioni insieme alla consigliera comunale Giovanna Megna, e personale della Questura che hanno simbolicamente ripercorso quel tragitto dove Esther fu raggiunta da ben sette colpi di pistola che non le lasciarono scampo. Martino di Libera è stato chiaro: “E’ un caso archiviato ma non abbandonato. La società civile non può dimenticarla, il nostro primo dovere è quello di rispettare la sua identità. Esther era una schiava della tratta, non era la pendolare del sesso o della prostituzione, era schiava di un sistema camorristico che gestisce la prostituzione a Castelvolturno cosi come probabilmente nel Sannio.”
Quindi ha aggiunto: “Oggi restituiamo a lei un senso di gentilezza, cortesia galanteria che non ha ricevuto in vita. Lo facciamo donando un fiore ma nello stesso tempo con un nessuno di responsabilità di denuncia”. Il referente di Libera ha infine attaccato: “No è sufficiente sbarcare. Sbarcare non significa accogliere. Non dobbiamo giraci dall’altar parte. Esther siamo noi la tua famiglia, spetta a noi la memoria civile. Non deve esserci l’oblio delle coscienze”.