I torti di Mastella, le ragioni di De Caro, la sfida delle politiche e gli orizzonti personali. Prosegue la marcia di avvicinamento alle elezioni del 25 settembre e a confrontarsi con Anteprima24 è Luigi Diego Perifano, portavoce di ‘Alternativa per Benevento’ a Palazzo Mosti.
Cominciamo da una buona notizia, la riapertura del teatro Comunale. I temi, ora, sono la gestione e la programmazione. Fiducioso? Glielo chiedo perchè proprio sulle politiche culturali appare chiara la differenza tra ciò che vorrebbe l’opposizione e ciò che fa l’amministrazione.
“Sì, una buona notizia. Ci sono voluti tanti anni e si sono accumulati troppi ritardi. Certo, si poteva andare decisamente più veloci, ma l’importante è che il nostro bel teatro sia ritornato patrimonio di tutti i beneventani. Ora bisognerà affrontare il tema di una programmazione stabile e di qualità, e ovviamente quello della gestione. Come ha evidenziato l’arcivescovo Monsignor Accrocca nella cerimonia inaugurale, il teatro comunale deve fungere da leva per valorizzare la vocazione di Benevento città-cultura: e, aggiungo io, per restituirle funzione e prestigio nel panorama culturale italiano. A noi questi concetti sono ben chiari”.
Restando alle vicende amministrative, la contrapposizione appare sempre netta. L’ultimo scontro si è consumato sulla relazione delle ispettrici inviate da Roma per valutare la procedura di dissesto. Sarà così anche per i prossimi anni o per la seconda fase della consiliatura, quando l’esperienza Mastella vivrà la sua fase conclusiva, cambierà qualcosa?
“Guardi che noi, dai banchi dell’opposizione, siamo stati intransigenti e critici ogni qual volta sono emerse inefficienze e ritardi nella gestione amministrativa: sconti non ne abbiamo fatti e non ne faremo, ma abbiamo sempre auspicato un confronto costruttivo sulle grandi questioni programmatiche. Il problema, però, è che il maggior deficit di questa seconda sindacatura Mastella risiede proprio nella totale assenza di una visione programmatica di ampio respiro: è clamorosamente mancato un piano strategico per i fondi del PNRR che consentisse agli investimenti pubblici di avere ricadute economiche ed occupazionali di lungo periodo, ovvero strutturali; il Piano Urbanistico Comunale è fermo al palo, nel senso che la variante non è andata avanti ed il “nuovo PUC” è rimasto a livello di annuncio; manca il Piano della grande distribuzione commerciale, e del piano traffico si sono definitivamente perse le tracce. In sostanza non si va a oltre l’amministrazione ordinaria”.
Pochi giorni e sarà trascorso un anno dal voto per palazzo Mosti: un primo bilancio di questo suo ritorno in Consiglio?
“Molte cose sono cambiate. Le funzioni del Consiglio Comunale sono state ridimensionate nel corso del tempo, e la centralità dell’assise si afferma quasi esclusivamente quando vengono in discussione gli atti della gestione finanziaria dell’Ente. Poi, ovviamente, ci sono le difficoltà politiche. Siamo persino ricorsi al Prefetto per ottenere la convocazione del Consiglio, e, a tutt’oggi, non è stata ancora fissata la seduta che abbiamo richiesto per discutere della delicata situazione del servizio sanitario nel Sannio. Anche i tempi per le risposte alle interrogazioni non vengono quasi mai rispettati. Per converso devo dire che la conduzione dei lavori consiliari, da parte del Presidente, è sempre molto equilibrata”.
Nell’altra parte della Città, quel 48% che scelse lei al ballottaggio, la sua figura resta un riferimento riconosciuto e riconoscibile. Se nel 2026 dovesse essere ancora cosi, verrà naturale pensare a una sua nuova candidatura. È così?
“Lei non considera che la media delle mie candidature a Sindaco è di una ogni venticinque anni, quindi a occhio e croce se ne riparla nel 2046… Per il momento penso solo a svolgere nel modo più dignitoso e serio possibile il mio mandato di consigliere comunale della opposizione. Per giunta, a differenza di chi, fra il serio ed il faceto, ritiene di essere pressoché eterno in politica, io invece ho ben presente il monito di Kierkegaard sulla precarietà delle esperienze umane…”.
C’è un voto decisamente più vicino ed è quello per le politiche del 25 settembre. La sua scelta l’ha fatta, sostenendo le candidature messe in campo dal Pd: soddisfatto di ciò che ha sentito e letto in questa campagna elettorale?
“Non ho la tessera del Pd dal 2016, ma ho sempre votato da quella parte. Può darsi che per i tempi che corrono si possa considerare un limite, ma non ho mai cambiato bandiera. La mia è quella laico-socialista, più giustizia sociale e più diritti civili. Per questo apprezzo molto la svolta del Pd, che vuole sempre più affermarsi come partito del lavoro, anzi dei lavori, puntando al salario minimo, contrastando lavoro nero e precariato, estendendo la tutela previdenziale ai lavoratori intermittenti, introducendo l’equo compenso per le partite IVA, proponendo un piano straordinario di assunzioni nella P.A.. E poi i candidati del PD, Ianaro, Iannace, Mortaruolo e Pepe sono tutte persone qualificate e degnissime, che stanno facendo una campagna elettorale ricercando il contatto diretto con gli elettori e battendo il territorio palmo a palmo”.
E allora restiamo al centrosinistra, la prima notizia è stata la rinuncia di De Caro, riferimento assoluto nel Sannio per quel campo di azione negli ultimi venti anni. Che idea si è fatto di quanto accaduto?
“L’impegno in politica di Umberto Del Basso De Caro merita considerazione e rispetto, specie per il gran lavoro svolto quando è stato chiamato a ricoprire funzioni di governo. La sua rinuncia alla candidatura non è la conseguenza di valutazioni personali, ma nasce dalla mancata risposta ad una questione oggettiva e squisitamente politica che riguarda la distribuzione territoriale degli eletti del PD: così come per Napoli, Salerno e Caserta, sarebbe stato giusto garantire anche la rappresentanza parlamentare all’area interna Benevento-Avellino, che peraltro soffre maggiori condizioni di marginalità economica e difficoltà di prospettiva”.
Come giudica, invece, la corsa solitaria del partito di Mastella?
“Non la capisco. In principio era “Noi di centro”, ora il partito si dovrebbe chiamare “Io di centro”, visto che tutti i possibili interlocutori che Mastella aveva individuato, da Toti a Brugnaro, da Renzi a Calenda, si sono sfilati e lo hanno lasciato solo. Ma se il progetto politico in cui si credeva è fallito, che senso ha intestardirsi in candidature che si risolvono in un mero esperimento microlocalistico?”.