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Benevento – Questa mattina, presso il Tribunale di Benevento, c’è stata la prima udienza del processo a carico delle quattro persone coinvolte nel secondo troncone di una inchiesta della Guardia di Finanza sulle vicende della società ‘Ecologia Falzarano‘ che, prospetta le ipotesi di bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio e reati tributari. La società di Airola, impegnata nel settore dello smaltimento dei rifiuti in più regioni italiane, è stata dichiarata fallita dal Tribunale sannita il 17 giugno del 2020. ed affidata all’ufficio di curatela fallimentare,  costituitasi parte civile con l’avvocato Sergio Rando.

Imputati nel processo Lorenzo Falzarano, 58 anni, la moglie, Loredana De Simone, 51 anni, di Airola, ritenuti amministratori di fatto della ‘Ecologia Falzarano’, Vittorio Lana, 60 anni, di San Giorgio a Cremano, rappresentante legale della società, e Ilaria Valletta, 47 anni, di Moiano, chiamata in causa come amministratore della ‘Eco Energy‘. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Ivano Chiesa, Flavio Lamberti, Giulia Bongiorno, Antonio Castiello, Maria Cornacchia e Francesco Fabozzi. Parte civile nel processo anche Vittorio Fuccio, un ex dipendente dell’azienda in qualità di danneggiato, rappresentato e difeso dall’avvocato Teresa Meccariello.

Il Tribunale di Benevento si è riservato sulle questioni sollevate dalla costituzione di parte civile e ha rinviato l’udienza al 2 febbraio 2023 ore 9:00 per decidere.

L’INCHIESTA

L’indagine, condotta dalla Procura sannita, ha svelato come l’azienda fosse amministrata realmente dalla coppia di coniugi, apparentemente estranei, con la compiacenza del legale rappresentante formale della società, che fungeva da prestanome, e che non era aggredibile patrimonialmente in quanto nullatenente. Con questo sistema gli amministratori avrebbero commesso una serie di reati fiscali come l’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute Irpef e lo avrebbero fatto per diversi anni. Ovviamente, secondo gli inquirenti, non pagando le tasse potevano permettersi di praticare prezzi molto più vantaggiosi a scapito di chi invece aveva davvero i conti in regola, alterando in questo modo le regole del mercato e della concorrenza. Secondo gli inquirenti, sarebbero stati dissipati “i beni aziendali della società fallita, determinando l’insorgenza di un passivo fallimentare di circa 80 milioni di euro non comprensivo delle istanze di ammissioni tardive, a fronte di un attivo di poco più di 18 milioni”.

Sono finiti sotto chiave beni mobili ed immobili per un valore di 5 milioni di euro. Le indagini della guardia di finanza, inoltre, hanno permesso, con la collaborazione del college italiano di Eurojust, di far luce sui beni all’estero e sempre riconducibili agli indagati.