di Giovanna Fusco
“La libertà è una conquista collettiva.” (Nelson Mandela)
Siamo soliti pensare che la libertà sia un dono, senza considerare quanto difficile sia conquistarla. È un’occasione, un’opportunità per la nostra vita. Sta a noi preservarla, oggi e sempre.
La Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne viene celebrata il 25 novembre di ogni anno perché segna un brutale assassinio avvenuto nel 1960, nella Repubblica Dominicana, dove le tre sorelle Mirabal, considerate rivoluzionarie, vennero torturate e uccise.
Questa data, tuttavia, è solo simbolica: le donne vanno ricordate, celebrate e rispettate sempre, non solo oggi. In fondo siamo come perle, affascinanti e delicate, fragili senza dubbio, ma anche forti, incredibilmente forti: a volte, basta cercarla per trovarla in sè questa forza. Soltanto una settimana fa Giulia Cecchettin si è rivelata un’altra delle tantissime vittime di un uomo crudele e senza anima, che le ha tolto la vita. E non è appropriato definirli come mostri, perché, come afferma Elena Cecchettin, sorella di Giulia, “Mostro è l’eccezione alla società. Mostro è quello che esce dai canoni normali della nostra società. Ma lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è quell’insieme di azioni che limitano la libertà della donna.”
Purtroppo la violenza contro le donne continua ad essere un ostacolo allo sviluppo, alla pace così come alla realizzazione dei diritti umani delle ragazze per il raggiungimento dell’uguaglianza.
La violenza, per esistere, ha bisogno dell’individuazione di un colpevole preciso, di una figura che di umano abbia solo la fisionomia, da cui prendere le distanze e da cui distaccarsi. Quando però la violenza ha a che fare con il sistema questo meccanismo interpella ciascuno di noi, che ci chiediamo “dov’eravamo in quel momento e perché non abbiam fatto nulla per evitare certe situazioni?”
Oggigiorno gli abusi, le aggressioni, le disparità non sono soltanto da individuare in soprusi fisici, ma anche in quelli psicologici, più profondi talvolta e più difficili da estirpare. Eppure nasciamo nel mondo proprio attraverso il linguaggio, ci definiamo attraverso esso e ci evolviamo, come persone e professionisti. Non c’è bisogno né necessità di mettere in guardia le donne, di dire loro di stare attente, di chiedere loro di mettersi al riparo: l’obiettivo è quello di arrivare a una civiltà che faccia sì che le donne non debbano avere paura di uscire e di comportarsi come meglio credano.
La violenza, in tutte le sue forme, si radica e progredisce nella disuguaglianza e nella discriminazione, nonché nell’umiliazione.
Secondo l’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, emanata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1993, la violenza contro le donne è “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”. Le conseguenze negative per la salute psicologica, sessuale e riproduttiva colpiscono le donne in ogni momento della loro vita. È fondamentale, perciò, che ci siano prevenzione, ascolto, comprensione.
Domani è troppo tardi. È oggi che si deve agire.