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Per ora la panchina può attendere. Gaetano D’Agostino dopo l’esperienza alla Vibonese dello scorso anno ha rifiutato almeno quattro proposte dalla serie C. Le scorie di un’annata piena di contraddizioni non sono ancora andate via, ora si occupa di giovani nell’Academy che gestisce a Roma, città in cui vive. “Nel mondo della Lega Pro c’è sempre meno programmazione, si parla di progetti ma poi tutto svanisce alla prova dei fatti. E chi ne fa le spese è sempre l’allenatore”. Il calcio è già balordo di suo, se poi alle giravolte tecniche si aggiungono grovigli burocratici è evidente che il terreno si faccia sempre meno praticabile. “Per il momento preferisco concentrarmi sui giovani, ad aiutarli a migliorare – dice – magari l’opportunità giusta arriverà”. Indossò la maglia del Benevento nella seconda parte della stagione 2014/15. Diciassette presenze in cabina di regia e un gol contro la Reggina, prossimo avversario della Strega di Fabio Cannavaro dopo la pausa del campionato. 
Cosa ricorda con piacere di quei sei mesi nel Sannio? 
“La figura del presidente Oreste Vigorito, una persona stupenda che ama il Benevento alla follia. Ho avuto il privilegio non solo di conoscerlo bene, ma di viverlo per sei mesi. E’ stata una grande ricchezza”.
All’epoca mancava ancora qualcosa per il grande salto. 
“E’ vero, ma a volte è solo questione di tempo, di comprensione delle dinamiche. Vigorito ha iniziato a ottenere risultati meravigliosi quando si è circondato di persone competenti, di uomini del settore. Al tempo, devo dirlo, chi lo attorniava non capiva molto di calcio. La società non ci faceva mancare nulla: avevamo tutti i comfort tipici dei club di serie A, altro che serie C. Il presidente trattava noi giocatori come figli”.
Ora che il club è cresciuto come vede Fabio Cannavaro in panchina?
“Non conosco i suoi principi e le sue idee di gioco, ma posso parlare del carisma e della serenità che riesce a trasmettere ai compagni. Anche quando giocava emanava una tranquillità unica già attraverso il linguaggio del corpo, il suo modo di porsi. Vedendo le sue immagini da allenatore ho notato che queste caratteristiche sono rimaste immutate, i calciatori non potranno che giovarne”. 
Si aspettava che avrebbe allenato o lo immaginava in un ruolo diverso?
“A essere onesto pensavo a lui come dirigente o una sorta di ambasciatore del calcio italiano. E’ una personalità di successo, un vincente. E’ stato il mio capitano nella parentesi azzurra del 2009 (in foto nella formazione iniziale di Italia-Cipro), ma sono tuttora sorpreso di vederlo nelle vesti di allenatore. In Cina ha ereditato il lavoro di Lippi e ha fatto il suo percorso di crescita. Sono incuriosito dalla prima avventura italiana”. 
Però, il Benevento è nelle zone basse della classifica
“Va ricordato che è subentrato, ha preso in mano una rosa a mercato chiuso e con molti problemi. Sono certo che i giallorossi risaliranno, perché alla fine l’esperienza e il carattere dei giocatori di categoria vengono fuori. Tuttavia intervenire a stagione in corso non è  semplice. Il Benevento ha tante pedine di spessore e Cannavaro, almeno umanamente, saprà come trarre il meglio da ciascuno”. 
Si può dire che il Frosinone possa essere la nuova favorita?
“Ci andrei molto cauto a dare giudizi, soprattutto in serie B. E’ un torneo pieno di trappole, con poche partite scontate. Non mi sembra che ci possa essere una squadra in grado di spadroneggiare. E lo stesso dico della zona salvezza, dove tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro visti gli equilibri sottilissimi. Basta guardare, per l’appunto, la situazione del Benevento”.
Quanto a idee di gioco, invece, chi premierebbe?
“Però il Frosinone di Grosso  mi piace, come il Bari di Mignani e la Reggina di Inzaghi. Hanno dimostrato di avere iniziativa. Ma ciò che conta, come al solito, è dare continuità ai risultati”. 
E’ davvero così difficile allenare in serie C?
“Decisamente. Le società vogliono contemporaneamente valorizzare i giovani, giocare bene e ottenere subito risultati, ma non ti danno tempo. E nel momento in cui contraddici un dirigente vieni etichettato come presuntuoso. La verità è che non sono uno ‘yes man’. Amo il dialogo, il dibattito, il confronto. Sono il primo a voler far giocare i giovani, ma quelli giusti, quelli che meritano, e nel ruolo che ritengo opportuno”.  
E invece?
“Non è raro che dall’alto i dirigenti ti diano indicazioni diverse e devi piegarti a determinate logiche. Poi se le accetti e non fai risultato paghi ugualmente le conseguenze di tutto, perché l’allenatore è il primo ad essere mandato via. E’ un circolo vizioso da cui non si esce”.