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Del Cielo, ostaggio è il titolo della mostra di Filippo Centenari nella galleria Nuvole Arte. Spesso il titolo di una mostra è il prodotto casuale dell’incontro tra esigenze, suggestioni, obiettivi comunicativi che solo in parte hanno a che fare con il contenuto della mostra stessa. La carica evocativa del titolo, a volte, finisce per portare il visitatore ben lontano dal significato delle opere in mostra, disorientandolo.

In questo caso, invece, il titolo rappresenta la prima essenziale chiave di lettura di quello che più che un allestimento è un complesso intervento site-specific pensato proprio per lo spazio della galleria.

Nuvole arte, si è infatti imposta nel panorama artistico, non solo del territorio regionale, come un luogo aperto alla sperimentazione, come uno spazio vuoto che di volta in volta accoglie progetti e artisti diversi.

Il tema del vuoto, nel caso dell’intervento di Centenari, è stato pienamente usato, si potrebbe dire con un facile calembour. Filippo Centenari, infatti, non entra in Nuvole arte per occupare uno spazio, per riempirlo, ma per aprire le dimensioni della galleria, per invitare il pubblico ad attraversarle, alzando lo sguardo, per seguire traiettorie che vanno oltre la finitezza delle pareti dell’edificio.

Nel progetto dell’installazione, per esempio, l’artista utilizza due oggetti, la piuma e la bomba, ricordandoci come entrambi siano capaci di un movimento aereo, come entrambi possano attraversare lo spazio, se vogliamo cadono dal cielo, ma con pesi, moti ed effetti diversi.

In un’altra opera, un elastico viene tirato e allentato disegnando una geometria cartesiana mutevole che si affida alle mani che lo tendono. È come dire che senza un corpo che l’incarni e la utilizzi, ogni forma spaziale rimane una pura idea. Icasticamente, l’artista rappresenta il conflitto, che è alla radice del pensiero moderno, tra res extensa e res cogitans.

Perciò il cielo, il luogo mai abitato da corpi, rimane spazio ideale di immagini pure, nel quale la tradizione colloca un astratto paradiso, ricettacolo di anime senza il peso dell’esistenza.

E ancora, nella galleria un raggio laser taglia pavimento e parete disegnando con precisione millimetrica il profilo di un solido. In meteora, il raggio disegna un contorno, imponendo alla materia un confine liminare.

Non a caso anche la meteora è un frammento che cade, un corpo che non sta più fermo nell’etere ma precipita, attratto dalla consistenza della Terra. Il laser, sublimazione della luce, diventa così metafora del tracciato di un’orbita che attraversa l’atmosfera, quella della galleria come quella del pianeta.

Anche qui l’artista sperimenta lo scarto tra rappresentazione ideale, estrema asintoto, e la fisica dei gravi, tra concetto e massa. Nell’uso del colore, l’artista torna ancora alla dinamica dialettica tra le res, utilizzando, fin dagli accurati rendering, una palette fredda, raggelata, nella quale si apre come un lampo, l’immagine.

Un lampo, appunto, qualcosa ancora che solca il cielo in frattale luminoso, unendo alto e basso, corpo, energia e volume. C’è nel lavoro di Centenari e ben lo dimostra Del Cielo, ostaggio, una ricerca che conduce oltre l’arte stessa, per offrirci un’ipotesi speculativa, la suggestione di una nuova metafisica.