Otto squadre in sette punti. Una classifica che più corta non si può è l’unica consolazione per un Benevento uscito meritatamente sconfitto dal Moccagatta di Alessandria. Tra le prime cinque ha vinto solo il Lecce, che oltre a scavalcare i sanniti è ora virtualmente al comando della classifica. I salentini hanno infatti una gara in meno, e battendo il Vicenza nel recupero della penultima di andata si porterebbero a quota 40 punti. Un’occasione per mettere la freccia anche su Brescia e Pisa e guardare così tutti dall’alto verso il basso.
Un vero peccato per la Strega, data per favorita sulla carta alla vigilia di un weekend che si è rivelato infausto per una serie di ragioni. E’ mancata innanzitutto la freschezza atletica, caratteristica che ha premiato i piemontesi, più reattivi e solidi sin dai primi minuti. Abilità nella riconquista della palla, giuste distanze tra i reparti e giocate elementari quanto coordinate hanno posto in una situazione di seria difficoltà gli esterni Letizia e Masciangelo, beffati sulla corsa e sugli improvvisi cambi di gioco da Lunetta e Pierozzi.
L’impressione è che la sfida si sia incanalata proprio sui binari previsti da Moreno Longo, che ha visto eseguire il suo piano partita a menadito, con pochi fronzoli e sbavature. Occasionali infatti le chance capitate a un Benevento bloccato dalle attente marcature soprattutto a centrocampo. Se nessuno dei tre interpreti titolari (Ionita, Calò e Acampora) buona parte del merito va attribuito alla voglia mostrata dai grigi di fare bottino pieno. Una voglia che ha praticamente azzerato il gap tecnico esistente tra le due contendenti.
Detto delle virtù alessandrine, il Benevento ha tanto da recriminare a se stesso. Probabile che le precedenti sfide con Monza e Spal, giocate in rapida successione dopo un lungo periodo di inattività, abbiano gravato oltre modo sulla condizione e sui nervi dei protagonisti scesi in campo. Senza contare che alla lista delle attenuanti vanno aggiunti i continui guai fisici di giocatori di primo piano nel progetto tattico di Caserta come Improta, Elia e Viviani. La notizia peggiore è che probabilmente nessuno dei tre sarà recuperabile anche per la gara con il Parma e che dunque la sosta non si rivelerà salvifica da questo punto di vista.
Nel finale di gara l’allenatore sannita si è visto obbligato anche a sostituire Barba per un problema alla caviglia, un’altra preoccupazione che si spera possa essere sventata dai risultati degli esami a cui si è sottoposto il difensore, attesi per le prossime ore. Buono l’acquisto di Petriccione, ma la preoccupazione sulle condizioni di Viviani lascia qualche turbamento. E’ stato lo stesso Caserta, nel post partita, a parlare di un problema al pube. Un guaio che potrebbe allungare considerevolmente l’attesa di rivedere in campo il vero cervello della mediana sannita. Un giocatore che per caratteristiche ha dimostrato di farsi preferire a Calò, forte di una maggiore vivacità e a di una capacità nel variare gioco che il triestino non ha finora evidenziato.
Ultimo e avvincente il capitolo riservato all’attacco. L‘affaire Lapadula continua a tenere banco ma non può certo definirsi una questione di campo, dal momento che il giocatore è fuori rosa, vive una situazione da separato in casa ed è anche stato rimpiazzato sul mercato con l’ingaggio di Francesco Forte. Il nuovo ‘9’ giallorosso (88 solo sulla maglia) ha però peculiarità ben diverse dal peruviano, da qui la missione di cambiare completamente volto a un settore che fino a un mese fa si reggeva sull’esplosività e sul dinamismo di un unico interprete.
Non è plausibile addebitare né a Forte (palo) né a Moncini (occasione nel finale di frazione) le colpe di un insuccesso, quando c’è da cambiare una mentalità nel suo complesso. E’ una questione collettiva, di reparto, oltre che di velocità nella transizione. Un andare lento e disordinato, quello del Moccagatta, nonostante la buona vena di Tello e la presenza intermittente di Insigne. Rimandati nuovamente Sau e Brignola. Impalpabile il primo, opaco il secondo, ben lontano dagli standard mantenuti ai tempi della sua prima parentesi giallorossa. A tutti loro e a un Farias ancora in ritardo di condizione toccherà assolvere alla mansione più difficile: pareggiare l’apporto del bambino delle Ande, a cui non resta (per ora) altro che il Perù per giocare a calcio.