Benevento – Equilibrata, combattuta, per larghi tratti elettrizzante, in bilico fino alla fine. Eppure Benevento-Parma è stata un’emozione per pochi. Erano 3.135 i presenti sugli spalti del Vigorito, di cui 73 provenienti dall’Emilia. Numeri deprimenti, per nulla in linea con le ambizioni del club, con il valore dell’avversario e con la presenza in campo del campione del Mondo Gianluigi Buffon. L’elenco dei motivi validi per vivere un pomeriggio allo stadio era interminabile. Una serie di emozioni ritenute evidentemente microscopiche da chi ha preferito ancora una volta la comodità del divano.
Sarebbe interessante valutare i dati auditel di Sky e Dazn per capire quanto è alta la percentuale di quelli che hanno gettato definitivamente la spugna. Per comprendere quanto c’è realmente da temere per il futuro di una passione tramandata di generazione in generazione. L’avvisaglia l’aveva data la gara interna col Frosinone dello scorso 6 novembre (2.100 spettatori scarsi): il vero fulcro del problema non è il botteghino, l’incasso, ma qualcosa di più grande. Rischiano di scomparire tradizioni, rituali, sensazioni che non trovano spazio nel nuovo mondo dominato dalla partita visibile con ogni mezzo e in ogni luogo, ma non allo stadio.
Il tragitto che conduce dall’auto appena parcheggiata al proprio posto nel settore, le sciarpe alla vita dei tifosi che non vedono l’ora di entrare, la processione di bandiere, le chiacchiere con l’amico del weekend, con il compagno di posto, il ricordo impresso nella mente di un’azione vissuta da una postazione privilegiata, il boato dopo un gol a cui si è assistito dal vivo, a pochi metri di distanza. Se esistesse una macchina del tempo, consegnando questa foto (in basso) a un tifoso di vent’anni fa – va bene anche la versione più giovane di voi stessi – andreste incontro a reazioni bizzarre. Stupore di sicuro, probabilmente risate. Ai tempi della serie C, obiettivo salvezza, i tifosi arrivavano ad essere anche il triplo.
Spopolamento, apatia, esborsi economici, imborghesimento, distacco, noia, orari scomodi (le prossime tre sfide interne si giocheranno nel turno infrasettimanale alle 18.30 ndr.), le risposte possono essere molteplici. Senza trascurare chiaramente gli strascichi di una pandemia che ha causato danni e sta continuando a causarne. Spetta ai pochi che avvertono ancora il fuoco dentro superare tutti questi ostacoli, coinvolgere e trascinare con la propria voglia gli scettici. Fargli capire che il calcio è al momento l’unico vero fenomeno sociale di una città sempre capace di compiacersi della sua storia, di cullarsi su ciò che è stata in un passato remoto, ma ancor più brava a disinteressarsi di se stessa, del suo presente e del suo futuro.