Benevento – La programmazione della nuova stagione può attendere. A Benevento, semmai, il dilemma è diventato un altro: ci sarà o meno una prossima stagione? Le dimissioni di Oreste Vigorito, arrivate ieri come un fulmine a ciel sereno, hanno di fatto spaccato la città. Tra la speranza di un ripensamento da parte del presidente e la possibile caduta nel baratro, però, ci sono tasselli che andrebbero collocati al loro posto.
Perché Vigorito è arrivato alla decisione di rassegnare il titolo nelle mani del sindaco e di non iscrivere la squadra al prossimo campionato di serie B? La goccia che ha fatto traboccare il vaso è rappresentata dallo striscione affisso ieri davanti allo stadio “Ciro Vigorito”. Un messaggio firmato e fatto subito rimuovere, nel quale si invitava il numero uno giallorosso a farsi da parte. Condivisibile o meno, nella forma e nel contenuto, quello striscione è diventato il vero oggetto della discordia.
“Imbecillità sportiva”. “Striscione indegno”. “Volgare, insensato e immotivato”. Sono stati questi, più o meno, i commenti arrivati nell’immediatezza della nota stampa firmata da Oreste Vigorito, in cui annunciava le proprie dimissioni. Commenti attesi ma che prima di essere dati in pasto alla stampa non sono passati al setaccio del vero interrogativo: da cosa è nato il malcontento di quei tifosi?
Campionato, prestazioni ed eliminazione play off non c’entrano nulla. Quello striscione fa chiaramente riferimento alle parole pronunciate il giorno prima dallo stesso Vigorito durante un appuntamento di Confindustria. In quel caso, però, le alte cariche sannite, subito pronte a dimostrare vicinanza, non si erano prodigate a proferire parola. E’ bene precisare, a scanso di equivoci, che non si sta prendendo una posizione, ma i fatti meriterebbero di essere raccontati nella loro interezza.
Senza Oreste Vigorito il Benevento non avrebbe mai vissuto i fasti delle ultime annate, probabilmente non sarebbe mai arrivato in serie A e né, tantomeno, in B. Questo è un inconfutabile dato di fatto. Vigorito ha reso grande Benevento e il Benevento, gli vanno riconosciuti i meriti, gli sforzi e i sacrifici sostenuti. Così come è vero che senza di lui il futuro diventerebbe denso di nubi e irto di ostacoli.
Negare l’evidenza sarebbe un azzardo, ma è anche vero che questa piazza ha smesso di sognare nel momento in cui ha iniziato a percepire il Benevento come un’entità distante. Il calcio è fatto di elogi e critiche, è così a qualsiasi latitudine. Questa piazza, invece, ha iniziato a mettere da parte i giudizi negativi per paura di un domani costellato da troppi interrogativi.
Chiudere la stagione in settima posizione, alle spalle di formazioni che, con tutto il rispetto, non avevano in rosa elementi del calibro di Barba, Glik, Ionita, Lapadula, Forte e Farias, vivendo una stagione tra continui alti e bassi, cosa è se non un “fallimento”? Parola, tuttavia, bandita dal vocabolario beneventano, dove le somme si tirano sempre alla fine della stagione. Si, ma puntualmente della prossima.
Passi la decisione di confermare Pasquale Foggia e, come sembra, Fabio Caserta. Un presidente è libero di affidarsi agli uomini che vuole. Libera, tuttavia, deve essere anche la gente di poter esprimere il proprio parere, il proprio punto di vista, perché la squadra è anche e soprattutto la loro. Il calcio è della gente, non solo di chi in una società investe. E’ quello che di più grave è stato perso di vista, ma non da ieri, da diverso tempo ormai.
Se ogni presidente dovesse lasciare a causa delle critiche, in Italia fallirebbero decine di società ogni stagione. Sono state criticate il Milan di Pioli, l’Inter di Inzaghi e la Roma di Mourinho, giusto per citare le uniche tre italiane in grado di alzare almeno un trofeo in questa stagione. Lotito alla Lazio vive da separato in casa, a Giulini non hanno di certo steso il tappeto rosso a Cagliari dopo la retrocessione, per non parlare del rapporto burrascoso di Cairo con i tifosi del Torino o di Preziosi, prima del passaggio di consegne, con quelli del Genoa.
Il calcio, insomma, è sempre lo stesso, che lo si faccia a Bolzano o a Caltanissetta. Non c’è da meravigliarsi. Quelle che meravigliano sono le reazioni, l’atavica avversione a non accettare le critiche. Lo striscione potrà essere stato sbagliato, ma è assurdo pensare che a una decisione così netta si sia arrivati solo per quel motivo. E l’errore più grave, in questo momento, è quello che si sta commettendo: puntarsi il dito a vicenda, alla ricerca di un colpevole.
Il vero colpevole è uno solo: il calcio. Appassiona e divide in un attimo. Basta poco per infiammare una piazza, come basta un nulla per portarla alla rovina. Un bivio davanti al quale si trova il Benevento: ripartire con una ritrovata compattezza o voltare pagina e andare incontro all’ignoto? La speranza, naturalmente, è che si possa continuare insieme con una certezza: comunque vada, da questa triste storia nessuno imparerà nulla. E’ così che va in questo mondo.