Benevento – L’estate alle porte, segno di una stagione calcistica ormai agli sgoccioli. Il pallone pian piano si sgonfia, lasciando al tifoso o al semplice appassionato le briciole di un’annata che si appresta a salutare. Si salta da un play off di serie B a uno di C, da una finale scudetto Primavera a una sfida della Nazionale. Pur di vedere un pallone rotolare va bene tutto.
Quello stesso pallone, per il Benevento, si è fermato il 21 maggio 2022. All’Arena Garibaldi di Pisa si sono infranti i sogni di società, squadra e tifosi. Sono passati appena undici giorni dalla semifinale di ritorno, ma nel Sannio sembra essere trascorsa un’eternità.
I discorsi legati al campo da gioco, il commento sulla prestazione, le dichiarazioni del tesserato di turno o i ragionamenti su cosa si sarebbe potuto fare per eludere il destino, hanno lasciato presto spazio ad altre questioni.
In pochi giorni il mondo all’ombra della Dormiente si è completamente capovolto, ritrovandosi sotto-sopra. Nel volgere di una manciata di ore a Benevento si è cercato di stravolgere il senso di uno striscione, attribuendo a un gruppo di tifosi il peso di una decisione. Si è cercato di far credere che le dimissioni di Oreste Vigorito fossero legate ai mugugni della piazza, scontenta per la mancata promozione in serie A. Si è scomodata addirittura la Municipale, chiamata a indagare con l’ausilio delle telecamere, come se ci fosse da scovare un pluripregiudicato. Girata e rigirata talmente tante volte, la frittata alla fine si è bruciata da entrambi i lati.
Si è cercato di spiegare che il calcio, in realtà, non è uguale a qualsiasi latitudine, dandogli però una connotazione economica. Come se si fosse sostenuto che fare calcio a Benevento sia lo stesso che farlo a Milano. Se mai qualcuno dovesse arrivare anche solo a pensare un’eresia del genere, dovrebbe essere il primo a porsi delle domande.
Ci sono stati appioppati editoriali nei quali si è provato a fare la morale “quasi” a tutti: tifosi, stampa, istituzioni e imprenditori. Tutto sentimentalmente bellissimo, se solo fosse stata inclusa nell’elenco anche una società (o se preferite una dirigenza) non esente da colpe. Giusto per uscire fuori dagli stereotipi del “è tutto meraviglioso a ogni costo”.
Ci è stata propinata più volte l’odiosa frase: “I soldi sono i suoi e fa quello che vuole”. Premesso che nessuno ha mai preteso di decidere cosa fare o meno con i soldi altrui, bisognerebbe chiedere ai più zelanti se lo stesso ragionamento sarebbe valso anche in categorie meno nobili della cadetteria.
Sorvolando, in questo scenario sono emersi i rimpianti per quel pallone che ha smesso di rotolare. Quella sfera di cuoio dava modo di parlare dell’ovvio, del banale, mentre adesso obbliga a misurarsi con qualcosa di più grande. Qualcosa cui non si è pronti.
In undici giorni nessuno ha mai “contestato” Vigorito, semmai è stata “criticata” una stagione non all’altezza delle attese e che non si sarebbe dovuta concludere obbligatoriamente con il salto di categoria. Chi accetta di fare calcio, inevitabilmente sa di dover fare i conti con le critiche. Se fanno storcere la bocca gli esempi di De Laurentiis a Napoli o di Lotito alla Lazio, basterebbe chiedere a Pasquale Foggia e Fabio Caserta. Rispettivamente, per chi lo avesse dimenticato, direttore sportivo e allenatore del Benevento. Domandare loro cosa voglia dire convivere con le critiche, considerando che fino a sabato mattina c’era una piazza che ne reclamava a gran voce le teste.
L’elenco dei meriti di Oreste Vigorito è lungo e corposo, non ha certo bisogno di becere difese. Senza il presidente la Strega sarebbe rimasta nel suo anonimato, non sarebbe mai arrivata a lottare per la A o a calcare il prato di San Siro e dell’Olimpico. Senza il presidente al “Ciro Vigorito” non avrebbero giocato Sandro, Sagna, Lapadula e compagnia. Senza il presidente sulla panchina giallorossa non si sarebbero seduti De Zerbi, Inzaghi e anche Caserta, che probabilmente qualche “scusa” adesso lo meriterebbe. Senza il presidente il domani equivarrebbe a imboccare un tunnel buio e senza meta certa.
Tutto questo è risaputo e riconosciuto, non dovrebbe esserci neanche il bisogno di ripeterlo alla prima occasione buona. C’è una frase in quel contestato striscione, però, che avrebbe meritato maggiore risalto: “Oltre la categoria”. È questo l’aspetto che nel Sannio è stato perso di vista. È questo l’assunto dal quale bisognerebbe veramente ripartire. Dal Benevento di Oreste Vigorito, ma anche dal Benevento dei beneventani. Una piazza spaccata e condizionata dalla paura. Paura del diverso, delle critiche che possano aprire voragini e inghiottire tutto. La paura di essere se stessi, di conservare quella capacità di critica e di giudizio che trova sfogo in una palla che rotola. L’auspicio, allora, è che torni a farlo presto perché di tante cose si sarebbe francamente fatto a meno*. (*questo articolo compreso)