Benevento- Orario e maltempo non frenano la partecipazione. Accorrono in tanti, nella sala convegni dell’Hotel Traiano, per Stefano Bonaccini, alla prima uscita pubblica nel Sannio. “Siamo più di cinquecento” – fanno sapere i promotori. Da queste parti, d’altronde, il candidato alla segreteria nazionale del Pd ha fatto il pieno di endorsement. Addirittura due i comitati in suo sostegno sorti in provincia: uno coordinato da Floriana Fioretti e Pasquale Orlando e tiene insieme l’ala maggioritaria del partito, quella che per intenderci fa riferimento a Umberto Del Basso De Caro e Giovanni Cacciano; l’altro – sorto più di recente – lo guida Pasquale Carofano e vede la presenza del consigliere regionale Erasmo Mortaruolo.
E alla fine in sala ci sono davvero tutti. Una tregua olimpica di poche ore dopo le roventi polemiche dei giorni scorsi e in attesa delle prossime. Gli effetti della faida interna ai Dem sanniti, però, sconvolgono la ‘scaletta’ annunciata ieri. Non ci sono più gli interventi di Giovanni Cacciano né quelli di Fioretti e Orlando. A prendersi tutta la scena, allora, dopo un evitabile battibecco con la stampa, invitata con modi non proprio cordiali ad attendere il post-evento per le interviste, è Bonaccini, con il racconto del suo Pd: popolare, dei territori, degli amministratori: “Voglio un partito laburista” – chiarisce. Ma a chi propone un cambio di nome e simbolo risponde che “non è certo per come ci chiamiamo che la gente non ci vota”.
Parla quasi un’ora, Bonaccini, che passa dalla difesa del reddito di cittadinanza – “quei politici che lo contestano non hanno mai sofferto la fame” – alla sanità: “Dopo tanti anni la spesa per la sanità è scesa sotto il 7% in rapporto al Pil”. E ancora Sud, lavoro, ambiente. Nessuna concessione, invece, alle polemiche interne: “Non ho neanche il titolo per discutere delle questioni locali. Però mi piacerebbe un Pd meno litigioso, consapevole che il nostro avversario è fuori e non dentro casa. Spero dunque si possa ritrovare l’unità”.