La mobilitazione popolare sul tema della risorsa idrica dell’intera regione, dovrebbe essere un campanello d’allarme per l’apparato politico regionale. Le attuali scelte della Giunta De Luca sembrano in contraddizione con quanto da sempre sostenuto oltre che suonare come un ulteriore tradimento del referendum del 12 e 13 giugno 2011dove 26 milioni di italiani sancirono che sull’acqua non si sarebbe più potuto fare profitto.
Pochi giorni fa l’incontro presso gli uffici della Regione Campania tra i rappresentanti dei Comitati Acqua Bene Comune e il Presidente Vincenzo De Luca, a cui ha fatto seguito una manifestazione che ha visto la presenza di padre Alex Zanotelli e la mia partecipazione, in qualità di Sindaco di Baselice, unico comune della Regione che ha promosso un ricorso al TAR avverso le scelte del Distretto Idrico Sannita.
Al centro del dibattito l’intenzione della Regione Campania di gestire le grandi opere degli acquedotti e della depurazione, costruite dalla Cassa del Mezzogiorno e trasferite successivamente alla Regione, mediante una società per azioni mista pubblico-privata.
Una scelta che vede contrapporsi il volere popolare, rappresentato dai vari Comitati che hanno raccolto ad oggi circa 35 mila sottoscrizioni per l’Acqua Pubblica.
La Delibera di Giunta n. 32 del 31.05.2023 (Bollettino ufficiale della Regione Campania n. 46 del 19.06.2023) sostanzialmente delinea la scelta di affidare la gestione della Grande adduzione idrica campana, costruita dalla Cassa del Mezzogiorno e trasferite alla competenza alla Regione a partire dal 1976, attraverso una società una società per azioni mista pubblico-privato. Un socio privato e verosimilmente con una quota del 49% che – a leggere il deliberato – possa garantire – tra l’altro – l’anticipazione del finanziamento di opere.
Questo appunto vuol dire che il socio privato anticipa soldi per realizzare opere per poi recuperali – insieme ad un giusto guadagno – sulle tariffe pagate dai cittadini.
Sono evidenti una serie di questioni che necessariamente andrebbero affrontate, e che non si possono nascondere sotto il tappeto.
Innanzitutto quel “SI” tracciato sulla scheda referendaria doveva aver messo la parola fine alla “adeguata remunerazione del capitale investito”, che significava niente più margini, finanza speculativa o business. La ‘nuova‘ tariffa, così come immaginata dal Referendum, si sarebbe dovuta determinare tenendo conto della “qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari” e “dell’entità dei costi”, in modo che venisse assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e del “chi inquina paga”. Nessuna “remunerazione”, dunque, ma solo la “copertura integrale dei costi”.
Ma da uno studio di qualche anno fa sui bilanci di tre importanti multi-utility (riconducibili a Acea, A2a e Smat spa) Paola Ceretto e Remo Valsecchi hanno mostrato come la “remunerazione” si sia trasformata grazie all’ARERA in “oneri finanziari del gestore” finiti ovviamente nella tariffa. “In teoria dovrebbe trattarsi del costo del denaro che il gestore mette a disposizione per la società -chiarisce Remo Valsecchi-. Ma tale non è perché nel conto economico delle società non appare. Lo ritroviamo semmai nel risultato finale, che poi è l’utile d’esercizio. Quindi siamo di fronte a una ristabilita remunerazione tout court”.
Possiamo dunque affermare che dopo 12 anni dal Referendum non solo quella promessa non è stata mantenuta ma le attuale scelte della Regione Campania rischiano un aggravio maggiore.
Ritengo che è proprio sulla politica ambientale della Regione Campania si giochi la vera partita del terzo mandato a De Luca. Nonostante il PD di fatti c’è da colmare una distanza ancora troppo grande tra l’urgenza degli interventi e l’orientamento di molte delle scelte in campo per quanto riguarda la gestione dell’acqua, il consumo di suolo e le politiche energetiche in Campania.
L’ottima iniziativa sulla bonifica del Volturno, dei Regi Lagni, come anche il Centro di Monitoraggio ambientale (con tecnologie di Intelligenza Artificiale)nel Real Sito di Carditello, e il supporto alla nascita di Comunità Energetiche non devonoe non possono essere mortificate da una scelta arrendista a favore di una gestione sostanzialmente privata dell’acqua.
È forse giunto il momento, dopo quasi 8 anni di attività, di avviare una seria riflessione anche sull’Ente Idrico Campano, sulla frammentarietà dei 7 Distretti Idrici (Napoli Città, Napoli Nord, Sarnese Vesuviano, Irpino, Sannita, del Sele, Caserta), della situazione in cui versano – dalla mancanza di soggetti gestore da Napoli Nord a quello Sannita dove è in corso anche un ricorso al TAR, nel Salernitano con i consorzi salvaguardati e alle vicende di Alto calore per quello Irpino – e delle scelte molto localistiche di ognuno di loro.
Le scelte di oggi della Giunta della Regione Campania ricadranno sui vari Distretti territoriali, e graveranno sui cittadini. È il momento di operare scelte che vadano nella direzione di modelli organizzativi più avanzati. Una società regionale interamente pubblica, in grado di accelerare la creazione di società pubbliche tra i vari Comuni e con una partecipazione in queste compagini societarie. Dopotutto in un quadro europeo la Direttiva 2000/60riafferma il bacino come elemento di tipizzazione delle acque e il distretto idrografico come elemento di governo, pianificazione e gestione.
L’acqua non è una commodity e la sua gestione non può essere relegata al paradigma del mercato. Nella stessa direzione anche la conferenza episcopale che ci invita a vegliare affinché l’acqua non venga identificata come una merce, un bene di scambio, uno strumento di speculazione alla stregua di altri.
Occorre una svolta coerente nella politica ambientale regionale. Una legge sull’Ambiente che cambi davvero la Campania, che fermi il consumo di suolo, che sia promotrice di una nuova strategia per le città come per le aree interne, dall’energie rinnovabili, dall’agricoltura, il cibo sostenibile e all’acqua per davvero pubblica.