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Ci sono notti che sembrano sogni. Notti che superano perfino la più audace immaginazione. Notti in cui una città intera smette di respirare per poi esplodere in un solo, infinito battito di cuore. La notte del 19 aprile 2025 sarà una di quelle. Per sempre.

L’Avellino è tornato in Serie B. E lo ha fatto come solo l’Avellino sa fare: con l’anima sporca di fango e sudore, il petto gonfio d’orgoglio, e il cuore spinto dalla voce della sua gente.

La promozione è arrivata a Potenza, nello stadio “Viviani” che ha fatto da cornice a novanta minuti tesi, duri, da battaglia. Ma il vero spettacolo, il vero capolavoro, si è consumato ore dopo – in casa, tra le pietre antiche e vive del centro cittadino, dove storia e passione si intrecciano da decenni. Già dalle 20.30, quando il sole lasciava spazio alle prime ombre della sera, Piazza della Libertà si era trasformata in una marea biancoverde. Nessuna chiamata, nessuna convocazione ufficiale: solo l’istinto, la fede, l’appartenenza. Le stesse che avevano radunato migliaia di anime nel 2003, nel 2005, nel 2007. E ora, ancora una volta, nel 2025.

Poi, l’attesa. lunga, trepidante, gonfia d’emozione. Ogni minuto sembrava un’ora, ogni sirena un fremito, ogni rumore di motore il possibile arrivo. Fino a quando, alle 00.20, l’attimo è diventato eternità: il pullman dell’Avellino ha varcato il confine della folla. La Provincia si è illuminata a giorno, invasa da cori, abbracci, fuochi, lacrime. Lupi tra la gente, lupi per la gente. A fare gli onori di casa il presidente della Provincia, Rizieri Buonopane e il sindaco di Avellino, Laura Nargi.

Sul volto dei protagonisti si leggevano storie diverse: c’era chi aveva già vinto qui, sul prato del Partenio, da calciatore, e ora da uomo di scrivania ha contribuito a scrivere un altro capitolo glorioso. C’era chi ha conosciuto la gioia lontano da Avellino, ma ha scelto questo popolo per vivere la sua redenzione. E poi c’era chi questa maglia l’ha indossata da pochi mesi, da poche settimane, eppure già la sente tatuata addosso. Giovani alla prima impresa, uomini per sempre nella storia.

Palazzo Caracciolo ha fatto da tempio. La città ha celebrato come un popolo antico che onora i suoi eroi. Non c’erano confini tra campo e tribuna, tra dirigenti e tifosi, tra cuore e gloria. Solo un’unica voce, un unico battito, un unico grido: Avellino.

All’1.30, esausti ma felici, i tesserati hanno lasciato la piazza. Ma nessuno se n’è davvero andato. Perché certe notti, in certi luoghi, restano impresse sulla pelle di chi c’era. E di chi, anche a distanza, ha sentito tutto. Oggi Avellino non ha soltanto riconquistato una categoria. Ha riaffermato la propria identità, ha rialzato la testa, ha ricordato a tutti – e prima di tutto a sé stessa – che i lupi possono cadere, possono smarrirsi, ma quando tornano… fanno tremare la montagna. Non è solo una promozione. È una rinascita. È la voce di chi non ha mai mollato. È la storia che continua. È Avellino.