Ci sono partite che valgono più di novanta minuti. Non per il risultato, ma per ciò che rappresentano. Per quello che evocano. Per ciò che muovono, dentro e fuori dal campo.
Una trasferta può diventare un pellegrinaggio. Un viaggio collettivo verso un sogno atteso per anni, inseguito tra le curve di stadi sconosciuti, nelle notti gelide d’inverno, nelle domeniche silenziose delle sconfitte. Sette anni, tra Serie C e speranze infrante. Sette anni in cui il ritorno tra i grandi è diventato il simbolo di una rinascita.
Sorrento–Avellino non sarà solo una partita. Potrebbe essere la partita. Quella della svolta, della festa, della liberazione. Un momento che, in un calcio normale, si condividerebbe con la propria gente, ovunque si giochi. Ma il calcio normale non abita più da queste parti.
La parola “buonsenso” – citata agli albori della vicenda – sembrava indicare una via, soprattutto dopo le parole del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Una direzione che tenesse insieme tutto: sicurezza, rispetto, passione. Un principio nobile, tradito in pochi giorni. E così, la festa ha lasciato spazio al divieto, all’esclusione, alla decisione che – pur legittima – ha cancellato la possibilità di vivere un evento che il popolo biancoverde aspettava da quasi un decennio.
Settecento biglietti, fidelity card obbligatoria. Tutto il resto, fuori. Tutto il resto, lontano. Una cifra simbolica che non può contenere la storia, il sentimento, l’identità. Il calcio italiano ha già conosciuto situazioni simili. Gelbison–Catanzaro, marzo 2023, diecimila tifosi giallorossi all’Arechi per celebrare la promozione. Un precedente chiaro, concreto. Stesso campionato, stesso regolamento. Ma trattamenti diversi. Decisioni opposte. E nessuna spiegazione sufficiente a giustificare la distanza. Avellino avrebbe meritato altro. Non per un privilegio, ma per dignità. Per coerenza. Per la storia che rappresenta, per il seguito che mobilita, per la correttezza dimostrata nel tempo.
Invece si torna a casa. A guardare la partita da lontano, magari al Partenio-Lombardi, magari in silenzio, con gli occhi lucidi. A vivere un sogno senza poterlo toccare davvero. Ma anche a testimoniare – ancora una volta – la forza di una passione che non ha bisogno di permessi per esistere.
Non sarà una trasferta come le altre. Non sarà nemmeno la festa che poteva essere. Ma sarà comunque un giorno da ricordare. Perché non saranno i posti a sedere, le barriere, i limiti a contenere l’orgoglio. Perché anche da lontano, anche senza presenza fisica, il sentimento resta intatto.
È un calcio che spesso dimentica la sua anima, quello che si consuma tra decisioni tecniche e rigidità burocratiche. Un calcio che dovrebbe raccontare storie, ma che finisce per oscurarle. Eppure, dentro tutto questo, resta qualcosa di irriducibile. Resta l’appartenenza. Resta l’amore. Resta il popolo.
Nessuna trasferta potrà essere negata a chi cammina da sempre accanto a quei colori. Neanche quando le porte restano chiuse, e le strade sembrano sbarrate. Perché non esistono confini per chi sogna. E non c’è distanza per chi ama davvero.
Sorrento-Avellino sarà anche questo: un campo lontano, uno “stadio vuoto”, ma un popolo ovunque. Che crede, che spera, che lotta. Ancora. Sempre