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Quarantatré anni fa il dramma che ha sconvolto l’Irpinia. 2914 morti,  8.848 feriti, 280.000 sfollati più o meno. Questi i numeri del disastro avvenuto alle 19.34 del 23 novembre del 1980. Paesi ridotti in polveri in meno di un minuto. Un sisma che ha sconvolse la realtà di una provincia e non solo. Una ferita che nemmeno il tempo potrà mai rimarginare. Dalla prime ore non si ebbe l’idea del disastro visto il blackout di linea elettrica e telefonica. 

Il terremoto colpì alle 19:34:53 di domenica 23 novembre 1980: una forte scossa della durata di circa 90 secondi, con un ipocentro di circa 10 km di profondità, colpì un’area di 17.000 km² che si estendeva dall’Irpinia al Vulture, posta a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. I comuni più duramente colpiti (X grado della scala Mercalli) furono quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna.Ma quel giorno, fino all’orario del tremore, è una domenica come tutte le altre. Ad Avellino a pranzo sono tutti con le radioline accese: la Serie A si gioca tutta in contemporanea, c’è la sfida tra Juventus e Inter, tra le grandi spiccava anche il “piccolo esercito” di Luis Vinicio. Il Partenio è come al solito una bolgia, avversario di giornata l’Ascoli. Anche chi rimane a casa sente le vibrazioni di uno stadio in quegli anni vero fortino biancoverde. Fa molto caldo, nonostante sia novembre sembra quasi estate. L’Avellino conquista due punti pesanti in chiave salvezza. La gente, uscita dal Partenio, non ha voglia di andare a casa. In Irpinia c’è una sorta di primavera anticipata, si preferisce quindi stare in giro per commentare il risultato o parlare del “caldo anomalo” fino alle 19.34 di quel maledetto giorno. L’inviato del TG1 Alberto Michelini raccontò che probabilmente quel giorno, l’Avellino salvò centinaia di vite.  In tanti, quando lo scossa inziò a far tremare l’intero sud Italia, era ancora in giro con la sciarpa biancoverde al collo. Il Partenio diventò una tendopoli per gli sfollati.

Nei tre giorni successivi al sisma, il quotidiano Il Mattino di Napoli enfatizzò la descrizione della catastrofe. Il 24 novembre il giornale titolò Un minuto di terrore – I morti sono centinaia, in quanto non si avevano notizie precise dalla zona colpita, ma si era a conoscenza del crollo di via Stadera a Napoli.

Il 25 novembre, appresa la vastità e gravità del sisma, si passò a I morti sono migliaia – 100.000 i senzatetto, fino al titolo drammatico del 26 novembre Cresce in maniera catastrofica il numero dei morti (sono 10.000?) e dei rimasti senza tetto (250.000?) – FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla. La cifra dei morti, approssimata per eccesso soprattutto a causa dei gravi problemi di comunicazione e ricognizione, fu poi ridimensionata fino a quella ufficiale, ma la cifra dei senzatetto non è mai stata valutata con precisione.

Duro il monito del presidente della Repubblica di quei giorni, Sandro Pertini: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi“. Nei giorni seguenti, l’intervista di Pertini restò alla storia per le parole di rabbia e dolore. Ancora oggi è difficile pensare che in un lasso di tempo così ristretto possa essere accaduto qualcosa che abbia cambiato per sempre la vita di migliaia di persone. Un segno indelebile in questa e nelle generazioni future che non può essere dimenticato.

Il terremoto del 1980 ha rappresentato una delle sfide più grandi nella storia della nostra terra. Ha causato perdite umane dolorose, ha distrutto case e comunità intere, ma ha anche evidenziato il coraggio e la determinazione del popolo Irpino nel ricostruire ciò che è stato distrutto. Oggi a 43 anni da quel giorno che cambiò la sotria dell’Irpinia, il tema principale o meglio dire la paura si chiama spopolamento. La Provincia di Avellino, secondo una ricostruzione, ogni anno perde in proporzione un paese di duemila abitanti.