“ Le cicatrici del porto sicuro. Il diario di un sopravvissuto “, questo il titolo del libro di Soumalia Diawara, scrittore e poeta di origini maliane, attualmente attivista politico rifugiato in Italia. Nella giornata di oggi, lo scrittore ha presentato il suo libro alla scuola Publio Virgilio Marone ove, nel corso dell’assemblea d’istituto, si è rivolto ai giovani gli studenti parlando della sua odissea personale, partendo dalla sua partenza dal Mali, passando per il Burkina Faso e la prigionia nei lager libici concludendo con il naufragio. Il suo racconto verte sulla speranza di poter incidere sull’opacità con cui spesso guardiamo i flussi migratori.
“ Nel mio ultimo libro – incalza Diawara – vorrei rendere l’opinione pubblica conscia non solo delle cose che accadono in Africa, dal cambiamento climatico alle guerre e soprattutto dittature, le quali spingono le persone ad andare via per cercare rifugio e salvare la propria vita, bensì, su quelle che possono essere le soluzioni a tanti problemi, dei quali, spesso, siamo noi i diretti responsabili “. “ Cerco di parlare come una sola comunità – continua – che sia la società occidentale o africana, perché io non vedo grandi differenze ma solo persone in difficoltà. Non c’entra che uno sia bianco o nero, ma che quando si chiede aiuto bisognerebbe dare una mano, perché è disumano rifiutare”.
Lo scrittore esprime la sua opinione anche sugli ultimi avvenimenti di cronaca. Ci riferiamo al naufragio dei migranti, avvenuto a Steccato di Cutro, provincia di Crotone, lo scorso 26 Febbraio. A perdere la vita sono state più di 70 persone, tra cui bambini dell’età compresa tra gli 0 e i 12 anni. “ Quando ci sono situazioni del genere – commenta – bisogna inviare la guardia costiera per provare a salvare le persone e non la guardia di finanza per svolgere un’azione di polizia. Se il governo avesse agito diversamente, sicuramente si sarebbero evitate tutte queste vittime, in particolare quelle di bambini, i quali sono il futuro del mondo “.
“Quando c’è la vita delle persone in gioco – conclude Diawara – bisognerebbe lasciare da parte il colore politico, perché l’essere umano viene prima di tutto “.