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Sono trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Antonio Sibilia. Imprenditore avellinese di successo nel campo dell’edilizia, presidente dell’Avellino, ricordato per il suo attaccamento folkloristico ai colori biancoverdi come era tipico di molti patron calcistici dell’epoca. Era il 29 ottobre del 2014 quando morì nella sua abitazione di Mercogliano. Padre padrone, ammanicato, controverso, suscettibile: servirebbe una caterva di aggettivi per tentare di inquadrare il commendatore d’Irpinia, tanti sono i connotati – tracimanti – premuti dentro alla sua pittoresca figura. Nato nel 1920 a Mercogliano, è figlio di un esportatore di frutta secca che fatica ad appiccicare il pranzo con la cena. Venuto su tra frotte di fratelli – in totale erano sei – sa di non potersi concedere il lusso di storcere il naso. A tredici anni inizia a lavorare per necessità.

La storia d’amore con l’Avellino, comincia nell’ottobre del 1970 con la formazione irpina ancora in Serie C. Subentra, come presidente del club, ad Annito Abate e dopo tre anni centra il primo obiettivo: la promozione in Serie B. Nel 1975, con l’Avellino in cadetteria, cede il timone della società (senza però uscire dal club) ad Arcangelo Iapicca, noto in città per il suo impegno politico. L’Avellino compie un nuovo balzo in avanti e viene promosso in Serie A. È il 1978 e per l’Avellino sta per cominciare il primo di dieci anni consecutivi nella massima serie italiana. Dopo i primi anni di permanenza in massima divisione, nel 1981 Sibilia riassume la presidenza e ottiene tre salvezze di fila, esonerando al tempo stesso molti allenatori.

Sibilia torna proprietario dell’Avellino nel giugno del 1994 e affida la presidenza al figlio 35enne Cosimo, la direzione sportiva ad Enzo Nucifora e la panchina della squadra a Giuseppe Papadopulo. Nella fretta di concludere l’affare, tuttavia, Sibilia non si accorge di aver rilevato un club ben più indebitato di quanto pensasse. Così, dopo una prima stagione culminata con la promozione in Serie B, si rende conto che, per ripianare i debiti, è impossibile poter costruire una squadra competitiva. Negli anni successivi ha tentato più volte di tornare in sella all’Avellino ma poi non se ne fece più nulla. Nel 2014 la scomparsa a 93 anni. Una leggenda che ha fatto della sua grinta che ha portato in alto l’Avellino.