La proposta dell’assessore all’agricoltura della Regione Campania, Nicola Caputo, di costituire una denominazione d’origine controllata “Vino Campania” non trova il no pregiudiziale della Confederazione italiana agricoltori, ma incontra osservazioni di merito tecnico destinate ad alimentare il confronto. In sintesi, a parere del presidente di Cia Avellino Stefano Di Marzo, da anni impegnato sul fronte della produzione viti-vinicola e quindi esperto del settore, “va evitato che una eventuale Doc Campania alimenti confusione per i consumatori e produca l’effetto di un livellamento verso il basso di produzioni di alta qualità, come quelle irpine, strettamente legate a territori unici al mondo, che danno vita a prodotti irripetibili quali sono i vini commercializzati sotto le tre Docg Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi. E forse – aggiunge Di Marzo – andrebbe rivisitata la possibilità di dotare la Campania di un marchio ad ombrello concepita su modello francese”.
“Condividiamo con l’assessore Caputo – spiega Di Marzo – la necessità di tutelare il ‘bene Campania’, inteso come marchio regionale in agricoltura, perché aumenta la visibilità dei prodotti e ne consente, in via generale, una maggiore penetrazione sui mercati, potendo anche costruire in questo modo l’occasione per concentrare l’offerta. Ma questa operazione, calata sul mondo del vino, non deve svilire il lavoro sin qui fatto sui territori, quello irpino in particolare. Vale a dire una sempre maggiore attenzione al legame tra terroire vitigno, tra vino e caratteristiche specifiche locali, che ogni area offre alla produzione in vigna, prospettando al lavoro di cantina occasioni altrove irripetibili”.
Il cambio di rotta di Regione Campania verso una Doc regionale, che invece sin qui ha investito anche in ricerca e promozione sui singoli territori, preoccupa: “Il timore – aggiunge Di Marzo – è che si giunga ad un livellamento verso il basso, ad una omologazione in termini enologici, del nostro territorio, e quindi che si rinunci alle proprie specificità. Questo percorso da un lato genera una inversione di marcia, anche significativa, perché in Irpinia si è lavorato in questi anni per incentivare la specificità dei singoli territori anche in relaziona alla pluralità dei vitigni che ci sono, con aree molto caratterizzate; mentre ora dopo trent’anni di lavoro si fa un’inversione a U, che non va più nella direzione verso cui si è puntato in questi anni, ossia la produzione vinicola di qualità, ottenuta da singoli vitigni e grazie alle specificità dei territori”.
Come noto in provincia di Avellino molti fattori hanno favorito questo modello di valorizzazione della vitivinicoltura provinciale: a cominciare dalla forte presenza di cultivar dalla personalità spiccata, adattatesi alla complessità orografica del territorio provinciale, impreziosito quest’ultimo dalla ricaduta delle ceneri del Vesuvio avvenuta oltre 20mila anni fa, a causa della eruzione detta “di Avellino” proprio perché i venti portarono sui colli irpini quel bagaglio di minerali che oggi torna nel tasting di molti vini tipici di quest’area.
“L’unicità dei nostri vini non è il capriccio di un direttore marketing o una visione alterata della realtà – sottolinea Di Marzo – bensì il prodotto delle forze della natura che hanno incrociato il lavoro dell’uomo su questo specifico territorio. Ecco perché lascia perplessi l’idea di una Doc Campania che possa contenere indicazioni sull’utilizzo di specifici vitigni in etichetta, elemento che potrebbe anche comportare un effetto di confusione nel consumatore, che credo sia in ogni caso da escludere. Sarebbe opportuno pertanto un supplemento di confronto proprio su questi aspetti molto delicati”
Nella proposta dell’assessore Caputo trova posto anche un riordino delle denominazioni di origine in Campania: “Scelta condivisibile– afferma Di Marzo – tuttavia l’Irpinia sembra non averne bisogno. I mercati del vino oggi hanno carattere internazionale, se si fa il riordino per farci capire meglio da un consumatore internazionale, va bene. Se viceversa il progetto è generalista, come quello della Doc Campania, il rischio è invertire un lavoro di trent’anni, danneggiando la punta di diamante campana, cioè l’enologia dell’Irpinia”.
Resta sul tavolo l’esigenza di razionalizzare l’impiego delle scarse risorse disponibili sull’Organizzazione comune del mercato del vino per la promozione, per gli investimenti e la ristrutturazione e riconversione varietale: “Sono sempre poche – sottolinea il presidente – per la nostra filiera, specie quelle per un investimento di medio e lungo periodo sulla promozione e sulla comunicazione del vino. Andrebbero impiegate per comunicare e bene non solo le nostre specificità orografiche”.
In questo quadro, forse, un marchio ad ombrello potrebbe diventare la soluzione per salvare l’idea di fondo, quella di tutelare il bene Campania, inteso come marchio: “I francesi quando parlano di vini della Valle della Loira, non parlano di una Appellation d’Origine Contrôlée in particolare, che sarebbe come dire una nostra Doc o Docg – conclude Di Marzo – ma dentro il messaggio promozionale della Valle della Loira c’è tutta l’articolazione vinicola di quell’area, dove si producono vini diversi in tanti chateaux che comprendo molte Aoc: forse è un modello possibile da studiare ed adattare alla nostra realtà di più piccola scala, ma che offre particolarità orografiche e varietali altrettanto interessanti e vini altamente competitivi sul piano qualitativo.”