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Ci sono notti in cui puoi solo alzare gli occhi al cielo, respirare forte e ringraziare di essere nato in un certo posto, in un certo tempo, con certi colori cuciti addosso. Ci sono notti che non dimenticherai mai, perché non ti lasciano solo ricordi: ti lasciano segni sulla pelle, cicatrici nel cuore, brividi eterni nell’anima.

Quella vissuta al Partenio-Lombardi è una di quelle. Una notte che profuma di storia. Di rivincita. Di appartenenza. Perché non c’è più scaramanzia che tenga. Non ci sono più scongiuri, riti, corni o amuleti in grado di fermare quello che è ormai scritto nelle stelle: l’Avellino sta tornando dove merita di stare. Sta tornando in Serie B. Sta tornando ad essere grande. E lo sta facendo da Avellino. Da lupo. Con il cuore, con la fame, con la ferocia di chi non chiede permesso, ma spalanca le porte del proprio destino a spallate.

“La capolista se ne va”.  Quel coro — per anni temuto, nascosto, sussurrato solo tra amici — è esploso potente, liberatorio, feroce come un urlo collettivo. La Curva Sud non ha più resistito. Non poteva. Era arrivato il momento di ballare senza paura. È stato un boato che ha travolto tutto e tutti: Angelo Antonio D’Agostino e Giovanni D’Agostino in lacrime, Mario Aiello con gli occhi lucidi, Raffaele Biancolino abbracciato ai suoi ragazzi come un padre orgoglioso. Persino Cosimo Patierno, confinato in tribuna per via della squalifica, ha prestato la voce al popolo. Perché quando chiami Avellino, risponde tutto Avellino.

In campo, i lupi hanno fatto quello che i lupi fanno meglio: caccia perfetta. Zero distrazioni. Zero sbavature. Solo concentrazione, fame, voglia. Il Monopoli, miglior difesa del campionato, è stato annullato. Azzerato. Ingabbiato. Poi è arrivato lui. L’uomo dei destini. Facundo Lescano. Un lampo in area, un controllo, una girata, un colpo da killer d’area di rigore. Gol. Esplosione. Delirio. Un boato che ha scosso anche i monti che abbracciano la città.

Qui non si vince solo una partita. Qui si conquista la storia.  Perché questo Avellino non è solo numeri — anche se fanno paura: 9 vittorie di fila, 10 di fila al Partenio-Lombardi, 11 nelle ultime 12 — questo Avellino è anima. È popolo. È battito collettivo.

All’uscita dallo stadio, il Partenio è diventato una processione laica. Clacson, cori, bandiere al vento, fumogeni, sciarpe strette tra le mani come rosari. E Gianna Nannini, sparata dagli stereo delle auto, a fare da colonna sonora alla notte: “Perdutamente…” — come Avellino ama la sua squadra, perdutamente. Non è finita. Non ancora. Mancano 180 minuti. Forse meno.

Ma stavolta non è paura quella che scorre nelle vene di questa gente. È consapevolezza. Consapevolezza che stavolta è diversa. Che questi lupi non si accontentano. Che questa città è pronta. Che questa gente merita di tornare a sognare — ma soprattutto merita di svegliarsi in Serie B. Perché qui nessuno regala niente. Qui te lo devi prendere. Con il sangue, col sudore, con la fame. E l’Avellino lo sta facendo. Come solo lupi veri sanno fare.

[Foto: Giovanni Cataldo]