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Tre mila vittime tutte tra la popolazione civile, un terzo delle abitazioni ridotto in briciole: Avellino, città insignita della Medaglia d’Oro al Valor Civile, ha commemorato oggi il massacro compiuto dai bombardamenti delle forze alleate il 14 settembre del 1943.

Davanti alle stele di Piazza del Popolo, insieme al sindaco, al prefetto e alle autorità militari, anche i familiari di due delle persone travolte poco prima di mezzogiorno di quel martedì da tonnellate di bombe da 100 libbre, ognuna caricata con 25 chili di tritolo, scaricate da 36 fortezze volanti della Raf. Guglielmo Testa e Pino De Falco, oggi quasi ottantenni, persero familiari e parenti: “Manteniamo vivo il nostro dolore perché diventi un presidio di memoria contro la guerra per le giovani generazioni”.

Altre sei mila persone riuscirono a salvarsi per puro caso riuscendo a scappare dalle loro case che le incursioni avrebbero ridotto in briciole. Non così alcune centinaia di soccorritori che tra un’ondata e l’altra dei bombardamenti, scavavano alla ricerca dei familiari. Nei giorni successivi, ai sopravvissuti sarebbe toccato il compito di accatastare i cadaveri decomposti e bruciarli per evitare epidemie.

Il bombardamento a tappeto venne spiegato dagli anglo-americani con la necessità di proteggere l’Operazione “Avalanche”. Il 9 settembre gli alleati erano sbarcati a Salerno e per impedire alle truppe tedesche di spingersi verso la costa venne deciso di distruggere le vie di comunicazione, a cominciare dai ponti, quello delle Ferriere ad Avellino e quello di Montesarchio, nei pressi di Benevento.

In realtà ad Avellino non vi erano truppe tedesche né tanto meno, come pure venne sostenuto, in città era stato mai insediato un comando strategico tedesco.