“Apprendiamo dalla stampa che una/un docente di un istituto superiore del Comune di Ariano Irpino, sarebbe stata/o aggredita/o verbalmente da un genitore per ragioni inerenti la valutazione della/del propria/o figlia/o al punto da dover richiedere l’intervento del 118.
Purtroppo non è la prima volta che il personale scolastico tutto, e le cronache nazionali lo dimostrano, è oggetto di aggressioni da parte di genitori quando non direttamente da parte di studenti, mentre svolge il proprio lavoro.
Preoccupa ma non meraviglia che ciò cominci ad accadere anche nella nostra provincia. Siamo di fronte ad una specie di corto circuito che riguarda la scuola e la sua funzione didattico-educativa. C’è un disastroso equivoco alla base della costruzione del nesso istruzione-educazione-formazione nel nostro Paese al punto che studenti e famiglie finiscono per essere parte della crisi nella dialettica dei ruoli di quella comunità scolastica, per noi educante, che pure concorrono a formare.
La scuola di questo tempo é continuamente all’indice per quello che fa e per come lo fa senza che nessuno si interroghi su quale sia davvero il suo mandato, quello Costituzionale innanzitutto, e su quali siano realmente gli strumenti che ha per affrontarlo, considerati i cambiamenti non solo legislativi ma, anche e soprattutto sociali, culturali, economici intervenuti dagli anni 90 del secolo scorso ad oggi.
Mentre nessuno sembra chiederselo, questi cambiamenti, alimentati costantemente da fonti di ispirazione delle politiche pubbliche, come il new public management, hanno dato vita ad una realtà in cui l’istruzione é percepita soprattutto come un servizio e non come un diritto che prevede anche forme di corresponsabilità il cui luogo di espressione continuano ad essere gli organi collegiali.
Istruzione-educazione-formazione appaiono, quindi, un servizio a domanda individuale. Metaforicamente, l’acquirente (al momento della scelta) opziona il prodotto più convincente sul mercato e, nel caso di riscontro negativo, scrive al servizio clienti, scrive una recensione negativa sui social network o, in casi estremi, fa il reso.
Il sistema di valutazione è basato su aspettative di natura meramente soggettiva che nulla hanno a che fare con il carattere intrinsecamente sociale della scuola. Tale Istituzione, al contrario, è pensata dalla Costituzione, come il più potente anticorpo delle democrazie, come strumento di educazione alla cittadinanza e dunque come correttivo pubblico agli egoismi privati.
Se, quindi , la scuola e’ “vissuta come un ‘negozio’, è del tutto stravolto il senso della sussidiarietà di matrice costituzionale: nel momento in cui il prodotto che vende non risulta in linea con le aspettative, nel più becero degli schemi mercatali, l’utente si sente autorizzato ad accapigliarsi con l’esercente magari arrivando anche alle mani.
E ciò accade, sempre più frequentemente, non necessariamente sempre arrivando a forme violente, nel perimetro di qualcosa che è sempre contrattabile: anche quando si tratta di questioni che sono formalmente regolate in uno spazio di certezza, per esempio nelle competenze del Collegio dei docenti (con buona pace dei Tar), come nel caso del processo di progettazione e valutazione degli apprendimenti, il cliente si sente nel diritto di intervenire e magari imporre, con vari mezzi, il proprio punto di vista.
Questo è lo stato della scuola italiana. E, a nulla, a nostro giudizio, serviranno le misure “valutativo/disciplinari”, prese dall’ultimo intervento riformatore perché non incidono sulle ragioni che negli ultimi anni hanno eroso le relazioni scuola – famiglia. Ragioni che sono state solo peggiorate dalla pandemia che ha risucchiato la scuola dentro il personale delle famiglie, confondendo spazi pubblici e spazi privati.
Alla/al docente interessata/o vanno innanzitutto la nostra vicinanza e solidarietà e ovviamente la disponibilità dei nostri uffici legali. Alla comunità educante delle scuole della provincia di Avellino rinnoviamo la disponibilità ad affrontare il tema che solleviamo non solo attraverso la via delle tutele ma anche attraverso l’apertura di spazi di confronto sui cambiamenti radicali che hanno interessato il nostro modo di stare a scuola.” La lettera è firmata da Antonio Troisi, Roberta Gimigliano ed Erika Picariello.