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Nuovi caporali e lavoro sottopagato: ecco gli schiavi della Piana del Sele

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La forza lavoro impiegata in agricoltura nella Piana del Sele è costituita in stragrande prevalenza da lavoratori migranti (si calcola che su 27mila lavoratori agricoli, il 50% dei braccianti sia di origine straniera). Alla sostituzione di manodopera è seguita anche quella dei caporali che oggi sono esclusivamente stranieri. I caporali etnici hanno caratteristiche che li differenziano da quelli nostrani, soppiantati ormai da tempo, perché hanno arricchito il loro bagaglio delinquenziale con un nuovo elemento criminale. Infatti, oltre alla intermediazione di manodopera, al sottosalario, al lavoro nero, al controllo dei ritmi di lavoro, gestiscono anche la fase degli ingressi e sono diventai uno dei punti cardine della tratta di esseri umani. Questa la fotografia scattata dal dossier elaborato da Cgil e Flai sul fenomeno del lavoro nero in agricoltura.
 
Secondo il report, però, non tutte le etnie si comportano allo stesso modo in questa attività criminale. I caporali marocchini si avvalgono del decreto flussi riservato ai lavoratori stagionali emanato ogni anno. In questo caso i caporali sono l’anello di congiunzione tra i migranti che aspirano all’ingresso e le aziende agricole. Per ogni ingresso il costo della tangente si aggira intorno ai 7-10.000 euro. Spesso, se non sempre, i migranti subiscono una truffa, in quanto il rapporto di lavoro non si perfezione e di conseguenza neppure la regolarizzazione, alimentando in questo modo il proliferare dei migranti irregolari. I lavoratori indiani, pakistani e ucraini si affidano invece a dei leader connazionali che controllano le comunità insediate nel territorio e che si avvalgono, per i nuovi  ingressi e relativo permesso di soggiorno, di avvocati e consulenti locali compiacenti. Nel mese di aprile 2015 sono finiti agli arresti domiciliari due avvocati che operano nella Piana del Sele, su disposizione della Procura di Brescia con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e compravendita di falsi contratti di lavoro.
 
I due si avvalevano anche di un’agenzia di consulenza per stranieri e altri indagati appartenenti alle comunità di origine indiana, pakistana e africana che si prestavano come rappresentanti di connazionali desiderosi di ottenere il permesso di soggiorno. I lavoratori rumeni, pur essendo comunitari e quindi non bisognosi del permesso di soggiorno, sono alla mercé di una rete ramificata di autisti/caporali che promettono, in patria, rapporti di lavoro sicuri nelle fabbriche alimentari, alloggi decenti, e che invece si sostanziano in lavoro nei campi e tuguri veri e propri. La tangente in questo caso si aggira intorno ai 3.00 euro. Un recente intervento dei Carabinieri (aprile 2015) ha dato esecuzione all’arresto di 9 indagati per associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione di manodopera. I provvedimenti riguardano cittadini rumeni e italiani. In tutti e tre i casi, spesso si tratta di falsi rapporti di lavoro e i migranti una volta arrivati restano abbandonati a se stessi e a caporali senza scrupolo che spesso li privati dei documenti.
 
E’ qui la loro riduzione in schiavitù: nella difficoltà di liberarsi da questi criminali dopo aver sborsato cifre ingenti. E la riduzione in schiavitù rende sempre più dinamici i caporali; circa un mese fa abbiamo appreso che alcuni caporali rumeni hanno costretto circa 300 braccianti a votare alle primarie di Eboli, l’indagine ha scoperchiato la situazione di estremo degrado nella quale vivevano i lavoratori e la loro estrema fragilità nei confronti dei caporali. “Ciò ci preoccupa – sottolineano il segretario generale della Cgil Salerno, Arturo Sessa, la segretaria generale della Flai Cgil Salerno, Giovanna Basile ed il presidente dell’assemblea generale della Cgil Salerno, Anselmo Botte – è che i caporali così come sono stati in grado di costringere i lavoratori a votare candidati che neppure conoscevano, siano in grado di costringerli a crimini di varia natura. Fermare la tratta di manodopera deve rappresentare una delle priorità nel nostro territorio, anche perché alcune aree della Piana del Sele (la fascia pineta in località Campolongo) sono diventate terra di nessuno, dove l’illegalità è diffusa e dove lo Stato stenta a marcare la sua presenza”.
 
Tra le proposte rilanciate dal sindacato, l’attivazione del collocamento e del trasporto pubblico in agricoltura, in collaborazione con i Comuni e le aziende agricole, l’istituzione di un comitato provinciale contro il caporalato ed il lavoro irregolare. “Occorre mettere in campo una sinergia tra Istituzioni, imprenditori, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali – ha ribadito la Cgil Salerno – per contrastare un fenomeno che, anche dalla recente inchiesta, è diffuso, ramificato, radicato e pericoloso, pur rappresentando soltanto la punta dell’iceberg”. La Cgil Salerno chiede poi di avviare una riflessione sulla possibilità di utilizzare correttamente i fondi europei attraverso progetti condivisi tesi all’emersione del fenomeno. Secondo il sindacato sono a disposizione 25 milioni di euro. La Cgil ha poi rilanciato l’idea di “un marchio etico e di qualità per i prodotti agroalimentari della Piana del Sele. Istituzioni ed aziende sane – hanno concluso Sessa, Basile e Botte – si mettano in gioco per ridare legalità al settore”.
 
el.ted.
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