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Salerno – Per l’omicidio di Vincenzo Marrandino e di Antonio Sabia è stato condannato con il rito abbreviato all’ergastolo Umberto Adinolfi, meglio conosciuto come “‘a Scamarda”. La sentenza è stata emessa ieri dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Salerno Sergio De Luca il quale ha anche disposto per l’imputato, difeso da Vincenzo Senatore del foro di Nocera, l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza della potestà genitoriale. Inoltre, a parte il risarcimento dei danni da definirsi in sede civile e le spese processuali, il Gip De Luca ha anche disposto una provvisionale di 50mila euro a favore di ciascuna delle parti civili. Vincenzo Marrandino, 29 anni e Antonio Sabia, 26 anni, furono trucidati il 30 luglio del 1986 a Capaccio.
A costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario sono stati Maria Grazia De Benedictis, moglie di Sabia e il figlio di questi, Carmine Sabia (all’epoca dei fatti aveva appena tre anni) attraverso gli avvocati Massimo e Giovanni Falci. Nello scorso giugno Umberto Adinolfi era già comparso dinanzi al Gup De Luca. In quell’occasione l’imputato, dopo trenta anni, aveva ricostruito i momenti che avevano preceduto la morte del figlio del boss Giovanni Marrandino, oggi 80enne e da sempre vicino al clan Maiale e cassiere della Nco di Raffaele Cutolo, e del suo autista. Nel corso del racconto reso al Gup De Luca, Umberto Adinolfi, in più occasioni scagionò lo zio Vincenzo Cosenza, già assolto a suo tempo nei vari gradi di giudizio. Adinolfi ha affrontato per la seconda volta il primo grado di giudizio. Gli autori dell’omicidio, individuati in Umberto Adinolfi e Salvatore Mercurio avevano già affrontato il processo in tutti e tre i gradi. Ma, mentre per Mercurio la condanna è divenuta definitiva, per Adinolfi le cose sono ritornate al punto di partenza. Umberto Adinolfi fu arrestato in Spagna nel 2005 e successivamente estradato in Italia dove è stato processato per i vari reati a lui ascritti. Tra le varie condanne vi è anche un ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore Salvatore Vaccaro.
Mercurio e Adinolfi misero in atto l’agguato. Mercurio sparò diversi colpi in direzione dell’auto con a bordo Sabia e Marrandino. Ad un tratto la pistola si inceppò, allora esortò Adinolfi a sparare. Adinolfi sparò. Sabia non morì subito e riuscì, nonostante ferito ad allontanarsi e a cercare riparo tra i campi ma Mercurio tornò in auto, prese un’altra pistola e lo uccise. L’unica colpa di Sabia fu di essere l’autista di Marrandino.