Salerno – “Ribellatevi e agite affinché questa giornata, in cui ricordiamo il sacrificio di Giovanni Falcone, possa trasformarsi in un momento di speranza e in un progetto per un futuro migliore di lotta alla mafia”. È l’appello che rivolge ai giovani in occasione del 28esimo anniversario della strage di Capaci, l’avvocato Antonio Ingroria, l’ex pm antimafia, braccio destro del giudice Paolo Borsellino e amico del giudice Giovanni Falcone. Ventotto anni fa, alle 17.59 del 23 maggio 1992, Cosa Nostra fece esplodere un tratto dell’autostrada A29 nei pressi di Capaci, mentre stava transitando sul viadotto, il corteo di auto Fiat Croma blindate con a bordo il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta della Polizia di Stato.
A ricordare quel tragico giorno che ha cambiato la storia del nostro Paese e della lotta alla mafia, è Antonio Ingroia. “Era sabato, proprio come oggi, quel 23 maggio del 1992 -racconta l’ex pm antimafia. Quel pomeriggio ero in macchina insieme alla mia scorta e stavamo rientrando dall’aeroporto al centro della città a Palermo. Improvvisamente dalla radio ci comunicarono che c’era stato un attentato in autostrada fra Palermo e Capaci. “Attentato – dicevano alla radio. C’è stato un attentato a Monza 500. Monza 500 è ferito” – ripeteva la voce. Tutti – racconta Ingroia – magistrati e agenti di scorta, sapevamo che Monza500 era l’auto a bordo della quale viaggiava Giovanni Falcone.
Preoccupato, dissi alla mia scorta di dirigersi sull’autostrada a Capaci ma pochi minuti dopo, dalla radio ci comunicarono che Falcone era stato portato in ospedale. Così – ricorda l’amico di Falcone e Borsellino – diedi ordine alla scorta di cambiare itinerario e raggiungere l’ospedale civico di Palermo. Arrivammo in ospedale a sirene spiegate”.
Poi, la tragica notizia. “In ospedale trovai Paolo Borsellino che, con il capo chino e con le spalle poggiate al muro, mi disse che Giovanni Falcone era già morto. Borsellino stava in silenzio, in quel momento era un uomo svuotato – racconta Ingroia riferendosi a Borsellino. Entrai in obitorio e con i colleghi ci abbracciamo davanti alla salma di Giovanni. Ricordo ancora oggi il volto di Falcone, era morto con il sorriso – racconta commosso Ingroia – quel volto non lo dimenticherò mai”- dice.
“Da allora sono accaduti tanti eventi e Paolo Borsellino ci trascinò in una lotta per la verità e la giustizia che durò poche settimane prima venisse dilaniato in un altro attentato esplosivo ad opera della mafia in via d’Amelio. Sono stati tanti gli alleati della mafia e i nemici della lotta alla mafia, gli stessi nemici di Falcone e Borsellino – chiosa Ingroia – da quel giorno di 28 anni fa, è cambiato troppo poco perché la mafia continua ad essere forte e presente sui territori”.
Ingroia però, invita anche alla riflessione. “Il sacrificio di Falcone e Borsellino è stato utile per gli italiani? – chiede, non nascondendo l’amarezza e l’indignazione per la scarcerazione che sta avvenendo in queste settimane, dei boss mafiosi detenuti al regime del 41bis, per via del covid-19. L’Italia non è all’altezza di questi grandi maestri come Falcone e Borsellino – ricorda amareggiato – gli italiani impegnati nella lotta alla mafia vengono scartati e messi all’angolo e l’Italia non ha imparato nulla. È tragico anche questo sabato 23 maggio 2020 che conferma come l’Italia non abbia memoria e capacità di fare tesoro di quelle esperienze più tragiche”.
Infine l’appello ai giovani e agli italiani onesti: “È il momento di agire – tuona – ribellarvi affinché questo sabato possa essere un momento di speranza e di progetto per un futuro migliore”.
Ribellione alla mafia e alla mentalità mafiosa nel nome e nel ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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