La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” è patrimonio Unesco: anche il Sannio fa festa

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La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” da oggi è patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco. Un sì convinto che ha avviato una festa diffusa nei territori rurali più vocati, da Alba a Acqualagna, da San Miniato e San Giovanni d’Asso-Montalcino fino al Molise e al Sannio Beneventano. A decretarne l’ingresso nell’ambitissima Lista è stata, a Parigi, la 16/a sessione del Comitato intergovernativo della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale valorizzando una pratica tradizionale dei tartufai nei diversi territori vocati della Penisola, perlopiù aree interne e rurali. “Con questo riconoscimento – ha commentato il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni, presente ai lavori insieme all’esperto Pierl Luigi Petrillo, unico italiano nel comitato internazionale – salgono a 15 gli elementi italiani che fanno parte del patrimonio culturale immateriale dell’umanità”. “Il tartufo – ha osservato il sottosegretario alle Politiche agricole, alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio- si trova in tante regioni del nostro paese e può aiutare a valorizzare aree rurali interne o svantaggiate. La stessa pratica della cerca e cavatura può diventare un ulteriore slancio per il turismo enogastronomico all’insegna di una sempre maggiore sostenibilità”.

L’ingresso nella lista Unesco “sarà di sprone per continuare nel lavoro di coinvolgimento delle comunità per il rispetto di natura, persone, animali” ha detto Antonio Degiacomi, presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo, con sede ad Alba (Cuneo), la capitale delle Langhe che ” ha avuto un ruolo importante nel supportare la presentazione del dossier”, ha rivendicato Liliana Allena, presidente dell’ente Fiera internazionale del Tartufo bianco d’Alba. “Siamo entusiasti di questo risultato, finalmente ce l’abbiamo fatta – ha commentato Michele Boscagli, presidente dall’Associazione nazionale Città del tartufo -, otto anni di lavoro sono stati apprezzati tutelando saperi e conoscenze della tradizione dei tartufai italiani. Un patrimonio collettivo, prezioso anche per le generazioni future, che va ben oltre il valore del prodotto” in sé. Premiata, gli fa eco Fabio Cerretano a nome delle associazioni dei tartufai italiani, “una profonda conoscenza dell’ambiente naturale e dell’ecosistema, che enfatizza il rapporto tra uomo e animale, in un rapporto simbiotico”. Strumenti di questa cerca e cavatura sono il cosiddetto vanghetto o zappino ma soprattutto il fiuto del cane, tipicamente un lagotto, appositamente addestrato. Una pratica che, contando gli associati nella Federazione nazionale Associazioni TartufaiItaliani (Fnati), singole associazioni e l’associazione nazionale Citta’ del Tartufo (Anct), annovera circa 80mila liberi cercatori e cavatori. Sembra venisse praticata anche dagli Etruschi e dai Romani, e ancora oggi è difficile misurare il business, Coldiretti lo stima a oltre mezzo miliardo di euro. Di nicchia ma in crescita la tartuficoltura e la vendita di piante in vivai specializzati e centri di ricerca con radici micorizzate per avvio della coltura. Ma a tavola è chiaro che piace ai buongustai, dal rinomato bianco al marzuolo, oggi le specie commestibili in Italia sono nove e in alcune aree vengono raccolti durante l’intero anno.

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