Sono bastati tre mesi di lockdown per ribaltare la classifica degli sport nazionali. La critica di settore è stata scalzata dalla critica ad ogni costo. L’attitudine a non tacere si è evoluta, percorrendo nuove strade e assumendo sfumature variabili, prima sconosciute.
Con questi presupposti il ritorno del calcio giocato ha finito per produrre lo stesso effetto di una Mentos nella Coca Cola. Un’esplosione di opinioni, alcune proferite da chi una partita non l’aveva mai vista in vita sua. A farne le spese, in occasione della finale di coppa Italia, sono state due componenti equamente divise tra il virtuale e il reale, giusto per non far mancare niente a nessuno.
Partiamo dalla più banale, dai tifosi. Stadio Olimpico vuoto in (quasi) ogni ordine di posto, atmosfera desolante e silenzio surreale. Nel vedere la partita in tv, tuttavia, non si poteva fare a meno di notare l’ingombrante grafica in stile Play Station che ha colorato gli spalti. Un’idea per la quale c’è chi si è sentito addirittura offeso, temendo di vedere materializzata davanti ai propri occhi l’immagine del calcio del futuro, sempre più distante dalla partecipazione popolare.
In quel vuoto ingombrante c’era anche qualcuno che stava giocando la sua partita. Non soltanto i calciatori di Napoli e Juventus scesi in campo per contendersi il trofeo, bensì un cantante. Sergio Sylvestre, nato a Los Angeles ma salentino d’adozione. Dopo una vacanza a Gallipoli decise di trasferirsi stabilmente in Italia, colpito dalla bellezza del nostro Paese. Protagonista del talent “Amici”, ieri era alla sua finale personale. Cantare l’Inno di Mameli era il suo ambito trofeo. Nel momento esatto in cui si è emozionato, saltandone una piccola parte, troppe persone avevano già la tastiera pronta per dargli addosso e vomitare odio.
Grande voce, Sergio. E grande messaggio. Col suo pugno chiuso voleva ricordare che siamo tutti uguali (sì, nel 2020 ne abbiamo ancora bisogno), imitando il gesto di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del ’68 a Città del Messico. E non è un caso che una parte di stampa tricolore di carattere marcatamente nazionalista abbia poi condannato l’iniziativa definendola ‘schiaffo’ e ‘oltraggio’ all’Italia. Oscenità. Provare a cambiare le cose è un atto rivoluzionario, concentrarsi su una stecca è da imbecilli. Ma la pandemia non ha migliorato noi, figuriamoci loro…