Napoli – “La considero un’operazione fantastica. Ho parlato personalmente io con gli americani a Palazzo Chigi” così raccontava l’allora Premier Matteo Renzi, al Corriere della Sera, a margine dell’acquisizione del gruppo Indesit da parte degli statunitensi di Whirlpool.
Era il lontano 2015 ed oggi, a ben 6 anni di distanza, proprio mentre Renzi con un partito di minoranza si adopera in queste ore per far crollare un Governo in piena pandemia, lo possiamo sottoscrivere anche con l’evidenziatore: non fu assolutamente “un’operazione fantastica”. Tanto che i danni di quell’acquisizione li stiamo ancora pagando, in tutta la Regione, a distanza di tantissimi mesi e numerosi Governi che si sono alternati nel tempo tra i palazzi delle istituzioni romane.
Il dato statistico che racconta al meglio il disastro di quell’operazione, partita proprio con Renzi, è infatti ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Tra la provincia di Caserta e il capoluogo campano sono oltre mille i posti di lavoro persi, o dispersi, derivanti da quegli accordi, nati nel lontano 2015 con l’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi.
“Nessun licenziamento fino al 2018, questa è stata la precondizione che il Governo ha posto a Whirlpool” spiegava in Parlamento l’allora ministra dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Parole che oggi scatenano difatti l’ira degli operai Whirlpool di Napoli Est. Loro che probabilmente in questo quadro della storia sono solo la ciliegina sulla torta di un disastro annunciato già nel 2015, che oggi non si è fermato neanche con l’avvento del coronavirus e i timori di un intero globo messo alle corde dalla pandemia, in tutti i suoi settori.
“Noi siamo una continuazione di quell’accordo – spiega amareggiato Vincenzo Accurso, Rsu del sito e sindacalista Uilm -. La cui volontà era rafforzare l’azienda e tener aperta almeno una fabbrica per ogni Regione dove era presente la multinazionale”.
Tutto era nato infatti nel 2015 con Renzi al Governo quando per diventare leader del mercato europeo la Whirlpool ha acquisito Indesit, all’epoca quarta azienda per numeri dell’intero tessuto del vecchio continente. Una “fusione” ambiziosa che però nei fatti si è trasformata in un totale tracollo le cui conseguenze le paghiamo ancora ora.
“All’epoca dei fatti eravamo solo due fabbriche in Europa a fare lavatrici – ricorda Accurso – con quell’acquisizione divennero addirittura 6, numerosi doppioni che hanno di loro conseguenza causato i tagli” partiti allora nella provincia di Caserta e mai terminati. Anzi nel tempo sono stati persino estesi anche alla città di Napoli. Basti pensare che nel 2015 era previsto che 100 operai casertani avrebbero dovuto prendere servizio nel sito partenopeo dopo alcuni piani di reindustrializzazione tra i siti casertani di Carinaro e Teverola. Ma quei lavoratori a Napoli, a sei anni di distanza, non ci sono mai neanche arrivati.
Così quando si arrivò alla crisi del 2018, quella per cui oggi è avvenuta la chiusura dello stabilimento di via Argine dopo anni di tira e molla e ben 13 tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo. Il Governo, a questo punto, divenuto M5s-Lega dovette necessariamente prendere in mano gli accordi siglati dall’esecutivo di Renzi nel 2015. Piani che risultavano difatti essere la conseguenza della crisi aperta dall’azienda Usa anche all’epoca del Conte I. Un effetto domino di una crisi industriale partita 6 anni fa che ha avuto così una sua fase intermedia nel 2018 con l’avvento della “politica del cambiamento” sull’onda massima del Populismo europeo che aveva spaccato in quei mesi le urne elettorali di tutto il vecchio Continente.
Un’onda che aveva spaventato in un primo momento anche la multinazionale che con Di Maio, un campano, al ministero del Lavoro era persino tornata sui propri passi. Prima che il leader della Lega, probabilmente logorato dal consenso sia social che popolare, mettesse in discussione tutto facendo cadere così il primo governo Conte. Mettendo di nuovo il coltello dalla parte del manico alla Whirlpool.
Azienda che successivamente sulla propria strada ha trovato così l’attuale ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. A cui la Whirlpool non ha mai dato nei fatti tanto credito, né tantomeno Patuanelli ha dato l’impressione di conoscere fin in fondo i fasti, storici, di quella vertenza ancora oggi ricchissima di ambiguità. Un’ incompetenza politica, in piccola parte anche giustificata degli errori dei sui predecessori, che è costata il posto di lavoro ad oltre mille famiglie campane tra le provincie di Napoli e Caserta.
Delineando uno “sterminio” a tutti gli effetti dei posti di lavoro in un Mezzogiorno già precario e disastrato da prima della pandemia. Mille famiglie trovatesi senza lavoro per quello che sembra a tutti gli effetti un disastro ad effetto domino partito già nel lontano 2015, quando al Governo c’era proprio la stessa persona che oggi sta facendo cadere l’esecutivo del Conte II, in piena pandemia, con un partito che registra tra gli italiani un indice di gradimento che non arriva neanche al 3%.
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