Napoli – “Qui spacciavo, oggi ho abbattuto il mostro”. Francesco quasi non riesce a spiegare quello che prova, così quando glielo chiedi ti mostra le grandi braccia tatuate. “Ho la pelle d’oca”. A soli 15 anni spacciava tra le Case Celesti di Secondigliano e Scampia, oggi che ne ha più di 40 è uno degli operai che ha buttato giù la Vela Verde. “Ho pagato i miei sbagli da tempo. Ma in questi giorni per ogni pietra venuta giù dalla Vela per me è stato come mettere per sempre un punto a quella vita”.
Pusher da giovanissimo, Francesco finisce in carcere a Poggioreale, poi a Cassino. “Era il 4 novembre del 2005 quando mi arrestarono – racconta nel cantiere, mentre alle sue spalle l’enorme pinza continua a sventrare la Vela –, otto giorni dopo avremmo dovuto festeggiare il compleanno di mio figlio”. E’ per quel figlio che Francesco decide di cambiare vita, una volta per tutte. “Sognavo continuamente che lo avrei portato alle giostre per il suo compleanno, poi mi svegliavo ed invece stavo in cella”.
Nel 2006 esce con l’indulto. “Come ho messo il piede fuori mi sono detto che avrei sofferto anche la fame, ma dovevo essere un esempio per il mio ragazzo”. Da allora non si contano i lavori che Francesco comincia a fare: dal venditore nei mercati al badante. Fino all’operaio. “Da giovane ero sicuramente una testa calda, non capivo nemmeno quello che facevo. Quando sono cresciuto ho provato a bussare a qualche porta per un lavoro onesto, non trovavo mai nulla, così ho continuato sulla strada sbagliata ma non perché mi piacesse, non sapevo come fare”.
Il sole batte forte mentre Francesco cammina tra i detriti e i ricordi. Guarda alle Vele che restano in piedi, verso quella Gialla dove ha abitato per un periodo. “Ci sono stati giorni che non riuscivo a mettere il piatto a tavola, ma non sono mai tornato a spacciare: ho resistito”. Forte come quei ferri dei pilastri, ora ammassati in un angolo del cantiere. “Ce n’è voluta per abbattere la Vela, è stata belle tosta” scherza. Poi asciugandosi il sudore dalla fronte, ma con l’emozione ancora attaccata addosso trova finalmente quelle parole per dire cosa ha provato in questi giorni al cantiere. “Il futuro, ma soprattutto la dignità”.