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NAPOLI – Antonio Menna, classe 1968: giornalista, direttore dell’informazione di Radio Crc, scrittore (autore, tra l’altro, di “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” e “La bambina senza il sorriso”), con un passato anche in politica.
“A 27 anni, prima da consigliere e poi da assessore a Marano”.
Nelle sue bio, tiene a ricordare anche che è laureato in Scienze Politiche, alla Federico II.
“Sono stati, quelli dell’Università, anni pieni di sogni. Ma dopo nessuno mai mi ha chiesto che laurea avessi in tasca”.
Il mestiere di giornalista e scrittore l’ha scelto da piccolo, non gliel’ha dato la laurea.
“Papà era un grande lettore: i giornali e i libri sono stati sempre nella mia vita. E diciamo che, pur tra mille difficoltà, qualcosa ho combinato”.
A tal proposito, mettamola così: se Steve Jobs dovesse votare a Napoli.
“Vediamo un pò, bella domanda”.
A) Si rintanerebbe nel suo garage. B) Farebbe campagna elettorale. C) Si candiderebbe lui stesso a diventare sindaco.
“Dipende da quale Steve Jobs prendiamo in considerazione: per quello originale, l’americano, varrebbe l’opzione A”.
Rimarrebbe nel suo garage, preso dalle sue cose.
“I ragazzi della Silicon Valley, più che dalla politica, sono stati attratti dalle loro idee, dalle loro imprese”.
Il sogno americano.
“Apple, Google, Facebook: chi le ha inventate ha cambiato il mondo con il suo lavoro, con le sue aziende. Non con la politica, che laggiù è vista più come un punto di approdo che come un punto di partenza”.
Prendendo invece in considerazione lo Steve Jobs napoletano: se domenica e lunedì dovesse votare anche lui?
“Il personaggio del mio libro era animato da una grande volontà, era l’antitesi del furbo o dello scansafatiche napoletano, quello stereotipato”.
Era il contrario, Stefano Lavori.
“Era animato da una grande voglia di fare che si scontrava, però, con l’ambiente che lo circondava”.
Lavori contro tutti e tutto.
“Beh, magari, proprio per questo, gli sarebbe venuta voglia di candidarsi sindaco”.
Opzione C.
“Ma l’avrebbe fatto al di fuori dei partiti”.
Civico anche lui.
“I partiti sembrano gruppi di potere chiusi”.
Il civismo nemmeno se la passa tanto bene: la bocciatura delle liste di Maresca ha segnato un pò la sua Caporetto.
“Ma perchè al civismo non è corrisposta una capacità organizzativa”.
Non è poco.
“Ma io intendo dire: un ragazzo che vuole impegnarsi per il suo quartiere piuttosto che per una causa qualsiasi, bussa alla porta di un partito o di un’associazione? Bussa alle porte di un partito o di un movimento come quello dei Friday for Future?”
La seconda che ha detto.
“Difficilmente vede il partito come qualcosa a lui vicino”.
A Napoli manca più un sogno collettivo o una nuova classe dirigente?
“Manca la fiducia. Noi addetti ai lavori ce la cantiamo e ce la suoniamo, ma secondo me questa volta andrà a votare ancora meno gente rispetto al 54% del 2016”.
Un problema.
“Grande: chiunque vinca rischia di non avere la città attorno come capitò a Bassolino nel 1993, ad esempio. Il nuovo sindaco rischia di essere solo l’amministratore del condominio Palazzo San Giacomo, non dei napoletani: la città è addormentata”.
Le sembra una “bambina senza sorriso”.
“Io tanta allegria, in giro, non la vedo”.
Magari semplicemente perchè Antonio Menna non ha più vent’anni.
“Anche la città non è più giovanissima: lo dicono i numeri. E la mia percezione lo conferma”.
Si capisce che la campagna elettorale non le è piaciuta.
“Non me ne sono accorto: c’è stata una campagna elettorale?”
La più lunga della storia.
“Ma veri dibattiti, veri confronti sulle idee, qualcosa che coinvolgesse davvero i napoletani…”
Non ha visto nulla di nuovo sotto il sole. Anzi, il solleone.
“Può darsi che abbia influito il Covid e la campagna elettorale fatta d’estate, ma no: non ho visto nulla di nuovo. Anche la polemica su Manfredi che non ha partecipato ai dibattiti organizzati dal Mattino, da Repubblica e dall’Unione Industriali: mi pare un qualcosa che non tocchi proprio la città”.
Che numero bisogna comporre per parlare con questa benedetta città?
“Il primo compito che attende il nuovo sindaco deve essere proprio quello di stabilire un nuovo legame, una nuova fiducia con i napoletani”.
Per questo occorrerà fare cose concrete.
“Sì, ma l’amministrazione si può sempre aggiustare. Con qualche bella idea, con un pò di fortuna, con le relazioni giuste. Ma se penso alla stagione dei sindaci all’inzio degli anni Novanta, ad esempio, all’epoca si accese anche un legame sentimentale”.
Manca quello.
“Una volta, il Mattino mi mandò ad intervistare Ciriaco De Mita. Mi fece notare che ignoravo “il senso della competenza politica che deriva dalla sintesi tra il saper coltivare un sentimento popolare e la tecnica amministrativa”.
De Mita ripete sempre che per fare politica “occorre un pensiero”.
“E ha ragione. Un buon sindaco deve coniugare empatia sentimentale e buona amministrazione. Altrimenti nemmeno ci sarebbe bisogno di eleggerlo: chiameremmo un funzionario. Un super prefetto”.
Niente tecnici: oggi, all’indomani dell’appello del Maestro Riccardo Muti su Repubblica, tutti giurano di voler “puntare sulla cultura”, ad esempio.
“C’è da sperare che non la intendano come mera “eventistica”. Anche la cultura è un legame, un sentimento che deve crescere”.
Maresca, a proposito di cultura: propone Muti al San Carlo, ma dice anche che “Gomorra di Saviano è un racconto parziale e diseducativo”.
“Tutti i racconti sono parziali. Quanto al diseducativo: sarebbe educativo negare quel lato della nostra realtà? Anche i suoi libri che parlano di criminalità sarebbero diseducativi, allora”.
Maresca, se lo immaginava così?
“Dopo Antonio Ingroia, nessun magistrato in politica può più meravigliarmi”.
E’ solo campagna elettorale.
“Solletica l’orgoglio napoletano che su questi temi si impermalosisce”.
Nessuna meraviglia nemmeno per Gaetano Manfredi.
“Manredi ha il suo profilo. Ma deve dimostrare autonomia: anche i miti, a volte, riservano sorprese”.
Antonio Bassolino, un eroe da romanzo o un 74enne a caccia di vendette?
“In lui ravviso l’una e l’altra cosa. Nella sua vita ha fatto tutto, poteva godersi la pensione. Invece è in campo e sa scaldare i cuori. Ma è anche vero che la politica intesa come potere crea dipendenza”.
Alessandra Clemente: il suo collega di Radio Crc, Corrado Gabriele, l’ha battezzata come la più brava nelle interviste. Fuori dalla radio, invece?
“Ha il vantaggio dei 34 anni, dell’essere donna e di avere una storia personale che la rende credibile. Ma sconta il peccato originale di aver fatto parte della peggiore amministrazione comunale che la storia ricordi. Non so se si libererà da questo fardello”.
Ultima settimana di campagna elettorale, cosa sarà di noi?
“Per Napoli si chiuderà in ogni caso un ciclo e se ne aprirà un altro. Fino al prossimo giugno, noi della stampa staremo in vigile attesa. E qualcuno si godrà anche la luna di miele”.