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Perchè lo stadio Maradona non diventa di proprietà del Napoli? Una svolta possibile

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NAPOLI – A Napoli, inteso nelle sedi delle istituzioni, vuoi per l’entusiasmo per il primo posto della squadra di Spalletti vuoi per quello di una amministrazione comunale che è appena partita, si è tornati a parlare di stadio Maradona.

La scorsa settimana, a tal proposito, il sindaco Gaetano Manfredi, che ha trattenuto per sè la delega all’impianto di Fuorigrotta, ha avuto un incontro con il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis.

I due si conoscono da tempo. E hanno avuto modo di coltivare, con l’occasione delle Universiadi del luglio del 2019 ad esempio, una stima reciproca. Tant’è che, complice anche i buoni rapporti che il patron del Napoli ha con il Governatore Vincenzo De Luca, non è un mistero che in campagna elettorale il club azzurro, se non schierato, abbia visto quantomeno di buon occhio la conquista di Palazzo San Giacomo da parte dell’ex rettore della Federico II. 

Il quale, oggi, accerchiato dai cronisti, sul capitolo-stadio Maradona, si è espresso dicendo che c’è un “confronto” con il club a proposito di “problematiche e prospettive” dell’impianto. Insomma: anche a proposito del ritorno nelle curve del tifo organizzato, Manfredi ha annunciato il mitico “tavolo di confronto”

Ma, in realtà, cosa bolle in pentola, cosa il sindaco abbia inteso per “prospettive”, è dato sapere solo in minima parte. Si sa, ad esempio (Il Mattino di oggi, ndr), che con ADL ha parlato di rimettere mano al parcheggio sotterraneo costruito all’epoca dei Mondiali del 1990 e mai utilizzato nei termini di farci un museo con la possibilità, per chi lo visitasse, di accedere anche al campo di gioco. Un pò come accade in tutti gli stadi dei maggiori club europei già da anni. 

A Madrid, ad esempio, il tour del Bernabeu è una tappa a cui tantissimi turisti non rinunciano.

Ma a Napoli, tuttavia, è ancora allo stato embrionale la capitalizzazione del nome di Diego Armando Maradona facendo dell’impianto di Fuorigrotta, sostanzialmente, lo stadio del calciatore più forte di tutti i tempi. E renderlo, per questo, unico al mondo.

Ma tanto basta? Quando Manfredi parla di “prospettive”, in realtà, la mente non può andare al vero nocciolo della questione: la cessione dell’impianto di Fuorigrotta al Napoli, magari ipotizzando una sua totale trasformazione. Perchè no, impegnando una archistar di valore internazionale: come piace a De Luca, per lasciare un segno nella storia (“Facciamo politica per questo, no?”, è solito ripetere il Governatore).

Ad oggi, lo stadio insiste su un progetto dei primi anni 50 (di Carlo Cocchia) che si realizzò nel dicembre del 1959. Una vita fa. Per un calcio che ancora non era lo sport preferito dalle tv, per dirne una. Le due principali ristrutturazioni, quella del 90 e del 2019 che lo hanno riguardato, sono intervenute sostanzialmente su un impianto che resta vecchio. Basti pensare che persiste la pista di atletica, il che – sembrerebbe un paradosso – non fa del Maradona, lo stadio intitolato al numero uno dei calciatori, uno stadio specifico per il calcio. 

Più in generale, l’Uefa ha classificato il Maradona nella categoria 3. La Gazprom Arena di San Pietroburgo, l’impianto che ospiterà la prossima finale di Champions League inaugurato nel 2017, è categora 4.  

Fatto sta che ora qualcuno fa notare che i pianeti si stanno allineando: il Comune ha un disperato bisogno di incassare. Il Napoli, se vuole negli anni stare sullo stesso livello delle big d’Europa, non può prescindere da uno stadio di proprietà.

Negli scorsi anni, prima con la Iervolino e poi con De Magistris, ADL non ha mai avuto rapporti buoni come con l’attuale primo cittadino partenopeo.

Ma soprattutto: lo sblocca-stadi solo l’anno scorso è entrato nel decreto semplificazioni al fine di “prevenire il consumo di suolo; rendere maggiormente efficienti gli impianti sportivi destinati ad accogliere competizioni agonistiche di livello professionistico; garantire l’adeguamento degli stadi agli standard internazionali di sicurezza, salute e incolumità pubbliche”

E last but not least: il caso della Roma, con James Pallotta per anni a combattere contro i mulini a vento della burocrazia italiana, sembra essere servita da lezione (tant’è che i Friedkin ci stanno riprovando con il neo sindaco della capitale, Roberto Gualtieri). 

E quindi: quando, fino a un paio d’anni fa, De Laurentiis spiegava che non ci pensava nemmeno ad avviare la pratica dell’acquisto dell’allora San Paolo perchè sovrintendenti e burocrati di ogni genere gli avrebbero fatto passare la voglia di vivere in Italia, quando ADL auspicava una nuova legge sugli stadi “perchè i Comuni non riecono a manutenerli”, poggiava la sua scelta su basi che ora si stanno rivedendo. Per una svolta possibile. Forse, finanche inevitabile.  

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