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Come è vista Napoli e la sua campagna elettorale da Milano (da un esperto di comunicazione politica)

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NAPOLI – Mario Rodriguez, nella sua vita: una laurea in architettura, il giornalismo, la politica nel Pci (ha collaborato con Giorgio Napolitano), l’insegnamento universitario e una società di consulenza e di comunicazione politica.
 
“Ora ho 74 anni e mi godo il mare, in pensione”.
 
Tutto è iniziato a Napoli.
 
“Sono nato a Napoli. I miei nonni vivevano a Chiaia, Arco Mirelli. Rodriguez, napoletani da qualche secolo. Ma con i miei andai via piccolo dalla città. A Genova, poi a Milano”.
 
Quanto è lontana Napoli a quelle latitudini?
 
“Napoli è una grande incognita”.
 
Una città che si avverte ai margini, in decadenza.
 
“Senza cadere in sciocche considerazioni neoborboniche, Napoli è stata una grande capitale. E ha pagato più di altre l’unità italiana”.
 
Terreno scivoloso.
 
“E’ stata tradita e, prima ancora delle vicende dell’unità, si è tradita: nel 1799, in piazza Mercato, ha tagliato la testa a quel ceto liberale che avrebbe potuto darle tanto”.
 
La storia con i se e con i ma: all’Università era un esercizio difficilissimo.
 
“Certo, è difficilissimo individuare quale sarebbe stata la mossa conseguente della Storia se una pedina si fosse mossa in un altro modo”.
 
Rimpianti.
 
“A volte, però, ragionare sulle cose, sui processi che si interrompono, serve”.
 
Cosa ci può far capire?
 
“Napoli ha prodotto burocrazia statale finchè non le hanno tolto il suo Stato. Nel nuovo mondo assieme ai piemontesi ha continuato a riprodurre un ceto intellettuale di qualità. Ma anche i comitati organizzati dei disoccupati. Scommetto che ce ne sono ancora”.
 
Scommessa vinta.
 
“Per dire delle grandi contraddizioni che si porta appresso”.
 
Come fa strano il Sud, visto dal Nord.
 
“Ma che sciocchezza Giuseppe Conte ha scritto al Corriere della Sera? Auspica una “Milano locomotiva che traini il Mezzogiorno”. Ma come si fa?”
 
Conte fa quel che può.
 
“Ma come fa a non capire che non si può più ragionare in maniera piramidale? Milano sopra Napoli. Roma sopra Napoli. Si dovrebbe ragionare in termini di rete. Una rete di nodi connessi, ma specializzati e autonomi”.
 
A Napoli, qualche frase fatta di questa campagna elettorale si inserisce proprio in questa logica: “Il candidato sindaco imposto da Roma…”, “I soldi del Pnrr che vanno al Nord”…
 
“Bisogna appunto uscire da questa visione piramidale. Bisogna fare rete valorizzando i ruoli specifici, le storie particolari, le competenze e gli ingegni altamente specializzati che ogni polis esprime”. 
 
Il fatto è che Napoli, nel post-pandemia, un ruolo se lo deve reinventare. Capitale del Mediterraneo o con uno sguardo mittleuropeo? Qualcuno se lo chiede.
 
“La storia non fa salti, parafrasando Leibniz. Occorre capire che complementarietà Napoli può esprimere oggi per farla stare in rete con le altre città, non solo italiane. Attenzione, in ogni caso: complementarità, non contrapposizione”.
 
Esempio.
 
“La digitalizzazione, che è fondamentale perchè ara il campo delle nuove competenze”.
 
Il biglietto da visita del candidato sindaco del centrosinistra, Gaetano Manfredi, è la Apple Academy a San Giovanni a Teduccio.
 
“Un esempio virtuoso per esaltare una delle caratteristiche di noi (posso dirlo?) napoletani: l’inventiva”.
 
Le competenze.
 
“Decidere, scegliere, governare, nella nostra società, è ancora più difficile perchè ne occorrono tante. E sempre più specializzate. Occorre poi fare sintesi. E per questo le decisioni non possono che essere simboliche: nell’accezione di “mettere assieme”. Magari coltivando rapporti di fiducia”.   
 
A proposito: sempre Manfredi vuole costruire una partnership con la Firenze di Dario Nardella e la Roma di Roberto Gualtieri basata sull’arte.
 
“Però questa operazione è importante che non sia avvertita come aristocratica”.
 
Berardo Impegno, pur sostenendolo, proprio questo rimprovera a Manfredi: di apparire ancora come un candidato dell’èlite, non anche della plebe.
 
“E’ importante far capire al popolo le ricadute positive di cui potrà beneficiare”.
 
Popolo, plebe: le parole sono importanti e qualcuno si è risentito.
 
“La plebe, a Napoli, è stata sempre reazionaria. Abbiamo fatto cenno al Novantanove. Potremmo parlare dell’epoca di Lauro, ma anche di altre ancora più vicine a noi”.
 
Il rischio è di approfondire la frattura tra le due Napoli.
 
“E’ un rischio grosso. Che solo Antonio Bassolino seppe scongiurare: riuscì ad entrare in sintonia, a creare un rapporto di fiducia”.
 
Ventotto anni dopo è di nuovo in campo. Lo capisce?
 
“Proprio no. Le minestre riscaldate non hanno mai funzionato. Anche Francesco Rutelli, che pure aveva lasciato un buon ricordo da sindaco a Roma, nel riproporsi per il Campidoglio, fece una brutta fine”.
 
La storia non si ripropone mai uguale.
 
“Io e Bassolino abbiamo la stessa età: siamo dei vecchi arnesi. Io, quando parlo con mio figlio di 33 anni, mi accorgo che vede cose che nemmeno immagino”.
 
Fondamentalmente perchè i social lei li utilizza, ma non la convincono.
 
“Non riesco a mettere bene a fuoco il processo cognitivo che può nascere dal discutere prevalentemente sui social, senza relazioni interpersonali. Si può andare avanti, soprattutto nella comunicazione politica, a colpi di tweet?”.
 
Dalle sue lezioni si deduce che bisognerebbe coniugare sentimenti e razionalità.
 
“Da tempo le neuroscienze lo confermano. Ci è arrivata prima la filosofia. Ma ora anche i medici sono concordi: la comunicazione efficace è quella che genera sentimenti perchè la ragionevolezza umana, come spiega benissimo Antonio Damasio, è impastata di feeling, di sentimenti”.
 
A Napoli, la mente corre alla pizza e al mandolino.
 
“Lo so. Ma non confondiamo emozioni e sentimenti: sarebbe un errore. Pizza e mandolino evocano emozioni. Ma le emozioni durano poco.
 
I sentimenti, invece?
 
“Durano di più. Sono alla base delle nostre scelte più importanti. Sono quelli che danno senso alla vita. Le persone, per muoversi, hanno bisogno di rispondere alla domanda: perchè devo farlo?”.  
 
E quindi Catello Maresca, il candidato del centrodestra a Napoli, va avanti a colpi calcistici.
 
“E’ la chiave di relazione più facile: stimola un elemento identitario e di orgoglio collettivo”.
 
Anche se accusa l’avversario che è juventino un giorno, presenta Hugo Maradona a capo di una sua lista un altro e si fa riprendere mentre calcia un rigore un altro ancora?
 
“I programmi non contano granchè. Vince chi genera un sentimento di fiducia: “Di noi ti puoi fidar”, canta Bennato. Ma, soprattutto, vince chi commette meno errori. In campagna elettorale hanno un peso specifico assai maggiore rispetto alle cose che riescono bene”. 
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