Napoli – “Quel nemico i napoletani lo guardarono dritto in faccia. C’erano anche i ragazzini, gli scugnizzi di Napoli. E così liberarono la città. Ora combattiamo con un nemico invisibile, ma ci libereremo anche stavolta”.
Mascherina sul volto, buste della spesa nelle mani, le parole di un signore che passa in via Belvedere sono come un fiore rosso adagiato davanti alla targa che ricorda le vittime del nazifascismo. Ora che non ci saranno manifestazioni, né commemorazioni in strada. Qui nel cuore del Vomero, dove partì quella prima scintilla della Resistenza napoletana. In trecento tra contadini, operai, scugnizzi, gente del popolo armati più di coraggio che di fucili cominciarono in questa strada la cacciata dei tedeschi. E sempre qui, alla masseria Pagliarone, di cui oggi resta quella lapide, alla fine del 1943 alcuni ragazzi si nascosero in un pozzo secco. Ma i tedeschi li trovarono e li fucilarono tutti.
La Napoli delle Quattro Giornate, in guerra come il mondo intero contro il Covid-19, lotta come ha sempre fatto da allora fino ad oggi. Ma per la prima volta lo fa in silenzio. Un silenzio assordante che ti spezza mentre dal Vomero scendi a piedi fino nel suo ventre, i Quartieri Spagnoli e poi al centro storico del suo cuore. Nel giorno della Liberazione le strade sono vuote e prigioniere al tempo stesso. Il tricolore sventola sui balconi dei palazzi, fuori ai bassi e sulle saracinesche abbassate. Quei colori di tessuto e storia fanno a pugni con i chilometri grigi di marciapiedi deserti. Il verde bianco e rosso scintillanti sotto il sole ti ricordano che Napoli c’è. Con coraggio combatte e resiste anche stavolta.
A piazza Vanvitelli – senza gente sulle panchine al sole, né struscio e rumore di tazzine da bar – il fiore del partigiano diventa anche qui una bandiera. Giovanni e Rita ci hanno avvolto il chiosco storico dei fiori, con un gesto di estrema dolcezza e forza insieme. Mentre scendi verso il Museo pochissime auto sulla sempre trafficata via Salvator Rosa. Coi volti coperti gli autisti dei bus sono gli eroi quotidiani di una nuova Resistenza che vede in prima linea medici ed infermieri.
“L’amore vince su tutto” ricorda uno striscione lasciato ai piedi del Sommo a piazza Dante. “E quindi uscimmo a riveder le stelle” sembra invece ricordare il poeta in quello che da ultimo verso dell’Inferno diventa un grido di speranza, ora che la fase due è alle porte. A piazza Municipio dai balconi di Palazzo San Giacomo il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris insieme alla sua giunta alza il pugno al cielo cantando ‘Bella Ciao‘ per l’iniziativa lanciata dall’Anpi in tutta Italia. In quella stessa piazza poche ore prima i disoccupati alzano, invece, il loro inno di disperazione con striscioni e sacchetti della spesa, chiedendo il reddito di quarantena, mascherine, tamponi e lo stop a bollette e fitti. L’odore dell’incertezza del futuro in una città che non si arrende si mischia a quello del mare che da via Caracciolo arriva forte fino a qui.
Le barche dei pescatori di Mergellina sul Lungomare sono come un baluardo in questa assurda guerra di trincea nelle case. Mentre attraversi la città dalla collina del Vomero per i vicoli fino al mare, Partenope ti sussurra che questa Resistenza è diversa, è un po’ come quando ami qualcuno. Dopo la passione, le lotte e le parole, anche se non vorresti ti resta solo un modo per combattere: il silenzio e l’assenza. Proprio come fa lei: la Napoli Bella Ciao.
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