NAPOLI – Adriana Malandrino: 39 anni, giornalista “di luoghi”, come l’ha definita la già presidente della Fondazione Donnaregina museo Madre di Napoli Laura Valente.
“Dal 2017, con la casa editrice italiana EDT, una delle autrici delle guide della Lonely Planet”.
Il mitico marchio delle guide turistiche famoso in tutto il mondo.
“Che, finalmente, ora ha in catalogo anche una guida su Napoli. Specificatamente su Napoli”.
Scritta da lei. Nata ad Ancona ma con genitori di Salerno e Gragnano e famiglia tra Napoli e Torre Annunziata.
“La città ci sembrava pronta a competere con le altre mete del turismo internazionale. E, nell’estate del 2020, quando me l’hanno affidata, ho subito risposto: “Quando devo partire?!”.
Un mese e mezzo di lavoro. Nonostante il Covid.
“Ero terrorizzata e felice al tempo stesso. Terrorizzata non tanto dalla pandemia, ma dalle tantissime cose da segnalare. Felice perchè qui ho le mie radici ed è un posto speciale”.
Ora non cercherà mica di convincere anche i francesi di Le Figaro?
“Per ogni guida, l’approccio Lonely è quello di descrivere e segnale i posti così come ci appaiono, senza pregiudizi, alterazioni o condizionamenti. Altrimenti non saremmo credibili”.
Napoli, una città “da terzo mondo europeo”, ha scritto la corrispondente del quotidiano parigino Valèrie Segond.
“Si riferiva essenzialmente ai servizi. E di cose da migliorare, in effetti, ce ne sono”.
La prima che ha segnalato ai suoi viaggiatori.
“Li ho messi in guardia per il trasporto pubblico”.
Vittorio Del Tufo ha scritto che a Napoli non si prende la Metropolitana: la si contempla.
“Io comunque l’ho consigliata. Non solo per le stazioni dell’arte, tant’è che quella di Toledo è in copertina. Ma perchè gli autobus passano ancor meno dei treni”.
Ha scritto che “guidare a Napoli è fortemente sconsigliato a chi non è abituato al traffico o ai guidatori non esperti”.
“Mio padre, da neo patentata, me lo ripeteva spesso: se impari a guidare a Napoli, lo puoi fare ovunque. E, in effetti, anche quando ho lavorato per la guida, nè io nè il mio compagno l’abbiamo trovato facile”.
Ora poi si è scoperto un maxi furto di cavi di rame per l’aerazione e si allungano anche i tempi per la riapertura della Galleria Vittoria.
“Ma sul fronte traffico mi piace sottolineare una bella scoperta: quella dell’Amicar, un servizio di car-sharing che ho trovato funzionante. Per di più, con macchine tutte elettriche”.
Resta il traffico. E i pochi vigili.
“Ma questo, come tutti gli altri disservizi, in fin dei conti pesa per lo più su chi vive a Napoli. Non su chi viene a visitarla per qualche giorno”.
La seconda cosa di Napoli che più l’ha delusa.
“Due musei. Quello Archeologico e la Certosa di San Martino. Il primo custodisce capolavori indiscussi. Il secondo è un luogo molto bello. Ma non sempre sono a misura di visitatore”.
Perchè?
“Orari ridotti, spazi preclusi: è difficile visitarli. Me li sarei aspettati più al passo coi tempi con un’idea di museo più moderna”.
Napoli guarda con diffidenza alla modernità.
“Io la voglia di modernità comunque l’ho riscontrata: nelle aree ex industriali che si tenta di riconvertire. Nel teatro: qui è sempre così vivo e stimolante. E in un modello di museo che ho trovato assai positivo, invece: quello di Capodimonte”.
Capodimonte sì, Archeologico e San Martino no.
“Perchè, a differenza di questi due, dà la possibiltà di una visita anche a chi ha solo un paio d’ore a disposizione. E poi non è solo arte. Ma anche natura, col bosco che lo circonda tenuto benissimo”.
Napoli, una friggitoria a cielo aperto.
“Ma ci sono ancora tanti posti autentici. Più che in altre città”.
Napoli, siccome immobile.
“Io non la definirei così. Anzi, mi dà l’impressione di una città che si adatta sempre molto. Poi, certo: c’è sempre la parte che è più portata a piangere su se stessa”.
Ma Napoli è ancora una città accogliente?
“Ci sono posti meno autentici. Ma dipende da dove e cosa guardi. Magari è meglio farlo da lontano: dai posti meno battuti dal turismo di massa”.
Laddove è sempre più difficile anche mangiare bene. O prendere un buon caffè.
“Anche per il cibo ho consigliato posti un pò più appartati. Dove si mangia quello che c’è. Ma dove si ritrova l’abbraccio della cucina napoletana: lo stesso che mi facevano avvertire mia mamma e le mie nonne”.
La cosa bella di Napoli è che sorprende, dicono molti che la vedono per la prima volta. Ma come la si racconta senza far perdere il gusto della sorpresa a chi arriva?
“Credo soffermandosi proprio sulle cose lontane dal solito giro. Come la Sanità. O Palazzo Donn’Anna”.
“Le finestre alte, larghe, senza vetri, somigliano ad occhi senza pensiero”, scrisse Matilde Serao del palazzo di Posillipo che si allunga sul mare.
“Una meraviglia che tanti napoletani conoscono poco. In quanti sanno della Fondazione Ezio De Felice che lì ha la sede?”.
Tutti conoscono benissimo lo stadio, invece.
“Io ne parlo nella guida”.
Nella sezione “feste, eventi e tifo” ha scritto: “Si va tutti in processione allo Stadio Diego Armando Maradona”
“E’ un’esperienza da vivere l’abbraccio che sa dare Napoli al Napoli”.
Il posto per eccellenza imperdibile di Napoli.
“La Sanità. E’ quello che la riassume meglio: meraviglioso con le associazioni che si occupano del rione, con gli artisti. Lì ho trovato la vera anima di Napoli”.
Al secondo posto dei luoghi imperdibili.
“L’archivio storico del Banco di Napoli”.
L’altro giorno è stato candidato per avere il riconoscimento Unesco dei Patrimoni dell’Umanità.
“E’ un tesoro che consiglio soprattutto a chi ama la carta, i libri antichi. Ci sono i documenti che attestano, tra l’altro, i pagamenti a Sanmartino per il Cristo Velato e a Caravaggio per una delle sue opere”.
Sul podio.
“Metto l’ospedale delle bambole. Un luogo magico, dove i bambini e i loro giocattoli assumono una dignità commovente”.
Quarto posto.
“La Gaiola: il mare, l’isolotto. Un luogo che non sfugge più agli occhi una volta che lo hai visto. Anch’esso, tra l’altro, sottratto al degrado da un’associazione”.
Quinto.
“Come rinunciare alla grandeur del San Carlo?”
Sesto.
“Castel Sant’Elmo”.
Settimo e ultimo (altrimenti non la finiamo più).
“Il cimitero delle Fontanelle: a Napoli c’è tanta vita anche nella morte”.
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