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NAPOLI – Carmen Gallo: napoletana classe 1983, ricercatrice di letteratura inglese alla Sapienza di Roma, Premio Napoli per la poesia 2021 con “Le fuggitive”.
“La mia terza raccolta di liriche”.
Poeta o poetessa?
“Vanno bene entrambi. Anche se il termine poetessa, fino a qualche tempo fa, era vissuto come un diminutivo”.
In ogni caso, la sua poesia ha sfatato il tabu secondo il quale i napoletani non lo vincono quasi mai il Premio Napoli.
“Scorrendo l’albo, in effetti, si evince che non siamo tanti”.
Difficile fare i profeti in patria.
“Beh, è anche naturale che sia così: il premio è nazionale e internazionale. Ma proprio per questo sono ancora più contenta di averlo vinto”.
Su Facebook ha ricordato che sono state pochissime le finaliste del Premio Napoli per la poesia anche se ci sono tante donne che scrivono poesia a Napoli: ha invitato a cercarle e a leggerle.
“A Napoli è un momento particolarmente ricco da questo punto di vista, che mette assieme anche più generazioni”.
Esempi.
“I primi nomi che mi vengono in mente: Giovanna Marmo, Paola Nastri, Floriana Coppola, Rossana Bazzano che scrive anche in dialetto. E poi le più giovani Damiana De Gennaro e Giorgia Esposito”.
Fuggitive anche loro?
“Non direi. Prima del Covid, in città, si stavano creando tante occasioni di incontro: c’era un grande fermento attorno alla poesia. Ora bisognerebbe tornare a incontrarsi per allargare quella comunità”.
“Fuggitive”, intanto, è introvabile nelle librerie napoletane.
“E’ andato esaurito. In una libreria di Spaccanapoli l’ultima copia l’ho presa io per mia sorella. Ma, dopo il premio, l’editore è già all’opera per la ristampa”.
Viva il premio.
“Di solito è sempre così coi libri di poesia: devono essere cercati un pò come si fa con quei film d’autore che hanno poca distribuzione”.
Chi ci scommette sopra?
“Spesso case editrici piccole a loro rischio e pericolo. Sono loro che portano avanti la storia di un genere, quello della poesia, che forse è marginale nelle vendite. Ma gode ancora di grande prestigio tra quelli che la conoscono”.
Si fa comunque strada una poesia donna.
“Una poesia scritta da donne. Il che è molto interessante perchè la poesia femminile, in realtà, rivela molte possibilità diverse rispetto a cosa sia una voce femminile. Il mosaico di tutte queste voci è stimolante”.
Gli uomini, invece…
“Capita spesso che nei premi siano loro i finalisti. Sarà che ci sono più poeti, ma forse c’è anche un pregiudizio”.
Sta di fatto che ora un premio importante l’ha ritirato lei. E sul palco ha detto che “la poesia ha a che fare con cose molto concrete”.
“Col desiderio di fuggire, ad esempio”.
Lei, però, ha scelto di restare a Napoli.
“Vivere qui può essere anche complicatissimo. Ma in nessun altro posto al mondo troverei il senso di quel che faccio”.
Un suo verso: “E’ novembre, ho 36 anni, mi porto dietro tutti i miei luoghi. Faccio attenzione a non dimenticarne nessuno”.
“Napoli ti insegue sempre. La fuga da qui non è mai definitiva. E ogni napoletano potrebbe scrivere la sua biografia ricordando i posti di questa città che sente suoi”.
Niente fuitevenne.
“No: nella mia autobiografia spaziale metto il refettorio di Sant’Anna ai Lombardi con le sue sculture lignee, un luogo ideale per rifugiarsi. E Montedidio, dove sono stata borsista all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”.
Napoletana doc.
“Potrei fuggire da tutto, tranne che da Napoli. Anche se, ad esempio, amo Milano”.
A Milano dovrebbe esserci un pò di Napoli. E a Napoli un bel pò di Milano.
“Io me le prendo così come sono”.
Il sindaco Manfredi promette una città europea.
“Napoli può prendere a modello solo se stessa. E’ troppo atipica per avvicinarsi ad un’altra città”.
Bisogna “tornare in superficie”, per citarla di nuovo.
“Solo i napoletani possono salvare Napoli. Ed esempi positivi, fortunatamente, non mancano”.
Parola di chi cent’anni dopo ha avuto l’ardire di cambiare il titolo di un poemetto di T.S. Eliot: non più “La terra desolata”, bensì “La terra devastata”.
“Nella storia dell’italiano, desolata e devastata erano sinonimi. Poi desolata ha perso ogni traccia di responsabilità umana. Ma quella di Eliot è un’opera che descrive gli orrori della guerra: di cosa abbiamo più responsabilità? Quindi, meglio devastata“.
Ma l’ultima sezione de “Le fuggitive” l’ha intitolata “Uscirne vivi”. E mette assieme spunti tratti da Napoli: una “strana città”, l’ha definita.
“Ho preso spunto da chi se ne intende di uscirne vivi: noi napoletani quest’arte ce la tramandiamo da generazioni, anche a proposito di guerre”.
Si pretende di uscirne vivi anche dalla morte.
“Mia madre, ad esempio, tratta i morti come se fossero vivi: è di Forcella. E ci sono cose, come un vecchietto che fermò mio marito per farsi applicare del collirio agli occhi, che possono accadere solo qui”.
Nella “strana città” ora si dibatte della trasmissione che le ha dedicato Alberto Angela.
“Credo che le polemiche che ne sono scaturite dipendano dal fatto che le narrazioni di Napoli abbiano bisogno di moltiplicarsi”.
Per ora, sostanzialmente, o c’è la versione Gomorra o la versione Paradiso in terra.
“Per questo dico che gli sguardi devono essere di più. Così ognuno si riconosce in quello a lui più vicino. E se proprio non lo trova si troverebbe lui stesso impegnato a crearne un altro”.
La politica dice che bisogna puntare sulla cultura.
“Per farlo suggerirei di ricomporre la frattura che c’è tra mondo accademico, di cui faccio parte, e “operatori culturali”, per così dire. Spesso, i nostri studenti, a 20 anni, non sono mai andati nè a teatro nè alla presentazione di un libro”.
Ora il sindaco è l’ex rettore della Federico II.
“Incarna i due mondi: può essere una possibilità. Gli faccio tanti auguri: una sinergia sarebbe determinante per coinvolgere i ragazzi, farli sentire parte della comunità e delle istituzioni”.
Il premio Napoli per la poesia 2021 dedichi a Napoli un verso in vista del 2022.
“Più che un verso posso citare una parola?”
Il premio Napoli può tutto.
“Arrassusia“.
Arrassusia?!
“È un’antica parola napoletana. Deriva dallo spagnolo. E fa da titolo anche a un mio racconto”.
E significa?
“Dio non voglia che…”. Ma anche “speriamo che”. Un’ambivalenza che è propria dell’atteggiamento che abbiamo nei confronti delle cose che desideriamo di più”.