Vittime innocenti della camorra, il Consiglio di Stato condanna il Viminale

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Per la prima volta una sentenza del Consiglio di Stato dà torto il Ministero dell’Interno per non aver riconosciuto lo status di vittima innocente della criminalità ad un ex servitore dello Stato ferito durante un attentato di matrice camorristica. E’ accaduto per la vicenda dell’agguato di cui rimasero vittime nel settembre del 1982, a Monteforte Irpino (Avellino), l’allora Procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi e il suo autista Stefano Montuori; la loro auto blindata fu raggiunta da un centinaio di colpi di arma da fuoco ed entrambi furono gravemente feriti. Dalle indagini emerse poi come la condotta di Montuori fosse stata decisiva per evitare la morte di tutti e due; al termine del processo furono condannate varie persone, tra cui i cugini dell’autista, risultati legati ai clan.

Il paradosso è che Montuori, pur avendo pagato un alto prezzo umano, non si è visto riconoscere, al contrario del magistrato, né lo status di vittima innocente né un indennizzo dal Viminale, che ha opposto il diniego rifacendosi alla consolidata interpretazione della norma (articolo 2-quinquies D.L. 151/2008) che pone un limite nella concessione dello status se il beneficiario risulti “coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado” di soggetti che hanno problemi di camorra. Peraltro la norma si applica solo ai familiari superstiti delle vittime innocenti, per cui il Viminale ha operato, nella vicenda dell’autista di Gagliardi, un’interpretazione analogica che il massimo organo di giustizia amministrativa ha nettamente bocciato; i giudici, confermando la sentenza di primo grado del Tar Campania, hanno anche censurato il Viminale per la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, norme fondamentale che riconoscono i diritti di uguaglianza e di difesa, condannandolo alle spese del processo. Una sentenza, che sebbene riguardi il caso di una “vittima diretta” del clan, ha comunque aperto una prima crepa nel coriaceo blocco normativo, eretto sul territorio da Viminale e Prefetture, che negli anni ha impedito a decine di “vittime riflesse”, per lo più parenti di persone uccise dia clan senza colpa, di ricevere gli indennizzi previsti per legge.

Solo a Caserta e Napoli sono numerosi i figli o i fratelli di vittime innocenti che aspettano un indennizzo. Nel febbraio scorso, con una provocatoria conferenza stampa convocata a Casal di Principe, parecchi familiari di vittime dei Casalesi, affiancate ad associazioni antimafia come Libera e Comitato Don Diana, si chiesero “perché lo Stato non vuole tutelare i familiari delle vittime di camorra, mentre tutela i collaboratori di giustizia che si sono macchiati di crimini orrendi?” Oggi il Consiglio di Stato potrebbe aver dato una prima risposta alla domanda dei familiari di vittime dei clan, con un pronunciamento che suggerisce al Viminale di fornire ai richiedenti risposte più sostanziali che formali, cioè di verificare dunque se chi richiede l’indennizzo abbia reali legami di affari con i parenti vicini al clan o se ne sia allontanato del tutto. Peraltro una seconda più importante crepa al blocco normativo potrebbe arrivare dal Tribunale di Napoli, che il prossimo aprile potrebbe decidere di inviare alla Corte Costituzionale l’eccezione di incostituzionalità della normativa depositata il 25 ottobre scorso dall’avvocato Giovanni Zara, che difende, nel processo arrivato in Cassazione, i familiari di Paolo Coviello e Pasquale Pagano, vittime innocenti dei Casalesi uccisi nel 1992 per un errore di persona da parte dei killer, già condannati in primo e secondo grado.

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