Ucciso dal clan per punizione, giudice riconosce vitalizio a genitori

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Caserta – Era “assolutamente estraneo ad ambienti delinquenziali” Genovese Pagliuca, ucciso il 19 gennaio del 1995 a Teverola (Caserta) da un commando del Clan dei Casalesi, solo perchè voleva salvare la sua fidanzata, di cui si era innamorata l’amante del boss, che per questo l’aveva sequestrata e violentata; era dunque una vittima pura e semplice, per cui male ha fatto il Ministero dell’Interno a non riconoscerlo come vittima innocente della camorra e a non concedere il vitalizio previsto per legge ai genitori del giovane. Con una sentenza di cinque pagine, il giudice civile di Napoli Vincenzo Pappalardo imprime una svolta importante a tutta la materia del riconoscimento dello status di vittime innocenti della criminalità. La decisione, che condanna lo Stato a concedere il vitalizio ai genitori ormai anziani di Pagliuca con un esborso di centinaia di migliaia di euro, fa infatti da “apripista” ad un’interpretazione meno formale e rigida della normativa da parte del Viminale e delle prefetture sul territorio, che fino ad ora hanno bocciato decine di richieste basandosi sul dato formale delle legge, che richiede ai fini della concessione dello status e del conseguente vitalizio la “totale estraneità del soggetto leso ad ambienti e rapporti delinquenziali”. Un’informativa molto datata dei carabinieri dava conto di una frequentazione di Pagliuca con un camorrista, e ciò è bastato al Viminale per bocciare la richiesta dei genitori del giovane; non sono state invece considerate dal Ministero, fa notare il giudice Pappalardo, le sentenze, l’ultima emessa nel 2008 dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli, che condannavano killer e mandanti del delitto, tra cui esponenti di primo piano del clan come Aniello Bidognetti e Giuseppe Setola, riconoscendo Genovese come una vittima, senza alcun legame con i Casalesi. In particolare le sentenze hanno accertato come il giovane fosse stato ucciso per punizione, perché si era opposto agli abusi subiti dalla fidanzata ad opera di Angela Barra anch’essa condannata – amante del boss Francesco Bidognetti. I genitori di Pagliuca, assistiti dall’avvocato Giovanni Zara, avevano presentato istanza al Ministero nel gennaio 2015, venti anni dopo il massacro del figlio, ma nel giugno 2016 il Viminale aveva rigettato la richiesta con decreto; tra le motivazioni, quella secondo cui Pagliuca si sarebbe rivolto ad altri esponenti del clan invece che denunciare la vicenda della fidanzata all’autorità. Sul punto, il giudice civile spiega che il Ministero ha omesso di considerare la circostanza della “soffocante presenza della criminalità organizzata nel contesto sociale in cui il Pagliuca era inserito, che faceva apparire una denuncia potenzialmente inefficace o – per certi versi – addirittura controproducente, rispetto alla finalità di sottrarsi alla violenza dell’associazione mafiosa”. La sentenza del giudice civile condanna il Viminale a concedere il vitalizio ai genitori di Pagliuca addirittura dal 2009, quando divenne definitiva la sentenza di condanna, e non dal 2015, quando è stata presentata istanza.

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