Santa Maria Capua Vetere (Ce) – E’ ancora alta la tensione al carcere di Santa Maria Capua Vetere dopo i fatti avvenuti ieri, quando sono stati eseguiti dai carabinieri 57 decreti di perquisizione emessi dalla Procura a carico di altrettanti agenti penitenziari indagati, per i reati di tortura e abuso di potere, in relazione ai presunti pestaggi di detenuti avvenuti il 6 aprile scorso, in piena fase di lockdown.
Oggi al carcere arriva il vice-capo del Dap Roberto Tartaglia per provare a rasserenare gli animi e portare la vicinanza dell’amministrazione penitenziaria, ma la rabbia tra gli agenti, che si sentono “vittime”, è ancora tanta, sia per l’indagine in sé che contempla il reato di tortura, che per le modalità di realizzazione dell’operazione di polizia giudiziaria, con agenti fermati dai carabinieri fuori al carcere per essere identificati, e ciò di fronte ai familiari dei detenuti, che hanno filmato le scene con spirito di rivalsa, avendo essi stessi denunciato i presunti pestaggi del sei aprile scorso.
Molti detenuti hanno poi festeggiato ieri sia in cella, mentre era ancora in corso l’operazione coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, alla presenza del Procuratore Aggiunto Alessandro Milita, che attraverso fuochi d’artificio sparati in serata dai familiari all’esterno, facendo aumentare il senso di abbandono dello Stato nei poliziotti penitenziari.
Angelo Bruno, in servizio al carcere di Santa Maria Capua Vetere dal lontano 1996, è tra i 57 indagati, e ieri, con un gesto eclatante, è salito sul tetto di un padiglione del carcere urlando tutta la sua rabbia, e solo la pazienza dell’Aggiunto Milita, lo ha convinto a scendere.
Ieri diceva quasi disperato: “io ho regole da far rispettare e i detenuti le devono rispettare. Ma si è perso pure questo. Io non rappresento più la legalità“. Oggi è ancora scosso. “Non riesco a credere di essere stato indagato per tortura, è una cosa assurda, che mi fa molto male, anche perché non mi appartiene. La sera del 6 aprile – racconta Bruno – volevamo solo ristabilire la legalità, dopo che qualche giorno prima i detenuti ci avevano gettato addosso anche olio bollente, ferendo decine di colleghi; tra i 40 e i 50 poliziotti si sono fatti refertare. Ed invece sembra che ora siamo noi gli aguzzini, che ogni giorno dobbiamo lavorare in situazione di grave precarietà, sotto organico, e in una struttura che ospita centinaia di detenuti in più rispetto alla capienza. Sono davvero stanco”.
Anche oggi un detenuto extracomunitario si è barricato nella sua cella con un coltello; scene di ordinaria amministrazione in un carcere che non ha ancora l’allaccio alla rete idrica, e in cui ogni estate l’acqua si prende dai pozzi, con rischi per la salute sia delle guardie che dei detenuti. Ma la carenza idrica è un argomento di cui si tornerà a parlare a breve; per ora sono i fatti di ieri a tenere banco, collegati alla maxiperquisizione del 6 aprile scorso, quando circa 300 agenti della penitenziaria, con rinforzi da Napoli, entrarono nelle celle sequestrando spranghe ottenute dalle brandine, altre armi improprie; i detenuti lamentarono di essere stati picchiati, partirono le denunce del garante e dei familiari, con degli audio delle presunte violenze consegnati alla tv. Ma dai verbali redatti in carcere di quei giorni, spunta anche l’ipotesi che qualche detenuto possa essersi ferito apposta, con l’aiuto di un altri reclusi, per alimentare la polemica e lo scontro.