Storia in vendita, i leuciani: “Quant’è per il Belvedere? Facciamo la colletta”

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Caserta – Continua a far discutere la vendita dello storico Palazzo Acquaviva decisa dal comune di Caserta per battere cassa. Un valore stimato di 28 milioni di euro per il bene più prezioso in possesso del Comune di Caserta, oggi sede di Questura e Prefettura, un tempo dimora dei conti e dei signori di Caserta la cui torre venne fatta costruire da Pandolfo di Capua dell’862 d.C., e acquistato per 489.343 ducati da Carlo III di Borbone il 29 agosto del 1750 per farne residenza provvisoria in attesa del compimento della Reggia.

Una vendita che entro fine anno dovrebbe concludersi, grazie a trattative già avanzate con la compartecipata Invimit del Ministero dell’Economia, e che rientra in una operazione più ampia di alienazione del patrimonio immobiliare disponibile del Comune ritenuto non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali. In parole semplici significa per il Comune, sull’orlo del secondo dissesto finanziario consecutivo nonostante proprietario di beni immobili da oltre 138 milioni e 960 mila euro, ha deciso di vendere immobili non strategici a vantaggio della valorizzazione e riqualificazione degli altri.

E mentre conti alla mano c’è chi valuta che dal dissesto finanziario del 2011 ad oggi solo il 20% dei beni comunali sono stati venduti, mentre restano nelle disponibilità del Comune terreni da un milione e mezzo di euro e fabbricati da 55 milioni di euro, c’è anche chi mette le mani avanti e si propone come potenziale e garantito acquirente dell’altro tesoro monumentale della città, ossia il Belvedere di San Leucio.

“Fateci sapere, qualora fosse, a quanto ammonterebbe la spesa – commenta Ketty Bologna presidente del comitato cittadino “I Borghi del Belvedere” – perchè nel caso facciamo la colletta, o “crowdfunding” come dicono quelli che parlano moderno. Noi, “i ciampa janca” parliamo antico, come la nostra storia ci insegna e come in tanti dovrebbero imparare a fare, difendendola e tutelandola a tutti i costi piuttosto che umiliarla d”incuria o peggio svenderla per rattoppare poltrone traballanti”.

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