Home Caserta Processo Resit, i giudici ordinano nuova perizia su danno ambientale

Processo Resit, i giudici ordinano nuova perizia su danno ambientale

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Svolta al “processo madre” sulle ecomafie in Campania in corso in grado di appello davanti alla Corte d’Assise di Napoli. Si tratta del processo Resit, quello sul disastro ambientale compiuto dal clan dei Casalesi nei comuni di Giugliano in Campania (Na) e Parete (Ce), piena Terra dei Fuochi, mediante lo smaltimento incontrollato e illegale in grosse discariche come la Resit di rifiuti urbani e tossici, spesso provenienti dal Nord Italia. Oggi i magistrati, come anticipato nell’udienza del 9 novembre scorso, hanno conferito incarico ai tre periti che dovranno accertare “se l’attività di ricezione e smaltimento dei rifiuti nel corso degli anni, verificata anche la natura pericolosa, tossico o nociva di alcuni di essi, e tenuto conto delle caratteristiche geologiche, geotecniche e idrogeologiche dei suoli sottostanti alla discarica (di natura e formazione tufacea), abbia o meno prodotto un danno all’ambiente, e di quale entità, nocivo per le falde acquifere, i suoli, i sottosuoli e la vegetazione”.

I periti dovranno dunque rivisitare le numerose consulenze di parte presentate in primo grado da accusa e difesa, tutte giunte a conclusioni contrastanti, e rifare le analisi delle varie matrici ambientali. I magistrati chiedono ai periti di chiarire anche “se l’eventuale riscontrato danno all’ambiente e l’eventuale riscontrato avvelenamento o contaminazione delle acque, si siano già totalmente prodotti o se gli stessi siano ancora in corso e se abbiano un andamento progressivo nel tempo, e di quale entità”. Il complesso incarico, affidato all’ingegnere ambientale Silvia Bonapersona, al chimico Cesare Rampi e al geologo ambientale Stefano Davide Murgese, dovrà essere svolto in 90 giorni e la perizia depositata per la prossima udienza prevista il primo marzo 2018. L’epilogo non è così scontato, ma di certo sarà determinante per confermare o meno le pesanti pene inflitte in primo grado, quando il tribunale partenopeo accolse l’ipotesi accusatoria della Dda, condannando il principale protagonista dello scempio, l’avvocato Cipriano Chianese, gestore della Resit e ritenuto l’inventore delle ecomafie per conto del clan dei Casalesi, a venti anni di reclusione per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa; con Chianese fu condannato a 5 anni e sei mesi di carcere anche l’ex sub-commissario per l’Emergenza Rifiuti Giulio Facchi, stretto collaboratore di Bassolino, per il quale il pm Alessandro Milita aveva chiesto 30 anni di carcere; furono condannati anche gli imprenditori del clan attivi nel settore dei rifiuti, come Gaetano Cerci (16 anni), i fratelli Elio, Generoso e Raffaele Roma (difesi da Mario Griffo). L’intera storia di un territorio degradato dipende dunque da una perizia, che teoricamente potrebbe anche concludere che non c’è stato inquinamento, o che la contaminazione è tuttora in corso, confermando le inquietudini peggiori.

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