Appalti regionali alle aziende del clan Zagaria, in carcere ex sindaco e imprenditori

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Caserta – Si sarebbero aggiudicati lavori di somma urgenza per 40 milioni di euro riguardanti la rete idrica regionale grazie all’appoggio del clan camorristico guidato da Michele Zagaria. È l’ipotesi di accusa contestata a sette imprenditori edili, arrestati e condotti in carcere dai carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Caserta su ordine del Gip del tribunale di Napoli, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Tra gli arrestati Antonio Fontana, ex sindaco negli anni ’90 di Casapesenna (Caserta), comune di origine della famiglia Zagaria. L’indagine è stata coordinata dalla Dda di Napoli – sostituto Maurizio Giordano – e rappresenta una prosecuzione dell’inchiesta “Medea”, che aveva disvelato un sistema, condizionato dal clan, di assegnazione dei lavori urgenti e senza affidamento da parte del settore idrico della Regione Campania, e che aveva portato all’arresto e alla condanna di numerose persone, tra cui imprenditori e politici come l’ex senatore dell’Udeur ed ex dirigente regionale del Settore Ciclo Integrato delle Acque Tommaso Barbato (il 26 settembre la cassazione ha annullato la condanna in appello); parecchi lavori, tra il 2001 e il 2015, sarebbero andati – secondo la Procura antimafia e i carabinieri – sempre ad aziende vicine a Michele Zagaria e al cognato Francesco Zagaria (stesso cognome del boss ma erano solo omonimi); quest’ultimo, deceduto qualche anno fa, era ritenuto il “signore degli appalti” del clan, capace di inserirsi anche in altri settori degli appalti pubblici, come quelli sanitari; c’era proprio Francesco Zagaria, insieme alla moglie Elvira Zagaria, sorella di Michele tornata in libertà qualche giorno fa dopo quasi sei anni di detenzione, dietro la vicenda dell’ospedale di Caserta, sciolto per infiltrazioni camorristiche tra il 2015 e il 2017. I carabinieri hanno eseguito anche un provvedimento di sequestro preventivo di 10 imprese edili del Casertano per un valore di circa 1.000.000 di euro, riconducibili agli indagati.

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