Home Benevento L’urlo, le lacrime, la preghiera: non isolate la gloria dello Stadium

L’urlo, le lacrime, la preghiera: non isolate la gloria dello Stadium

Tempo di lettura: 2 minuti

Benevento – “Din, din, din”. Suoneria, vibrazione, chat. Ma anche note audio, tante note audio con voce rotta dall’emozione, dal pianto, dall’estasi di un successo insperato. Il trionfo sulla Juventus corre sui binari delle applicazioni, dei social, della messaggistica istantanea. Dei ‘meme’ che alimentano la goduria. C’è ad esempio quello di Pirlo seduto a tavola con le bottiglie di Porto e Strega, o quello di Cristiano Ronaldo che quella stessa bottiglia la tiene in mano (e non solo lì, ma si sa che il web non perdona…). In un’altra  la Strega vola in cima alla Mole Antonelliana, nell’altra ancora Gaich viene prima eletto sindaco di Benevento, con tanto di fascia tricolore, e poi benedetto da Papa Francesco, argentino e tifoso del San Lorenzo, ultima squadra sudamericana del ‘Tanque’ prima dell’approdo in Europa.

Un tripudio virtuale, uno sfogo in formato 5G, eppure resta un dubbio. Cosa sarebbe stato un trionfo così senza la pandemia? La telefonata al compagno di sediolino allo stadio sostituita da un abbraccio da soffocamento e una birra in compagnia (ma anche due, dai), i meme rimpiazzati da cori di giubilo fino a perdere la voce, l’attesa irrefrenabile per l’accoglienza alla squadra, rito sacro e imperdibile. Senza contare coloro che avrebbero certamente frantumato il numero di biglietti per il settore ospiti, fregiati anch’essi del titolo di ‘eroi della domenica’.

I vicoli del centro deserti, desolatamente deserti, sarebbero stati riempiti da un sentimento comune che solo gli smartphone sono riusciti a tenere vivo. Ecco perché quei tre punti non sono solo la vittoria di Davide contro Golia, sono innanzitutto l’auspicio. Non sono il Sud che batte il Nord, questione che poco compete al calcio, sono la speranza. La speranza che valgano qualcosa in più di un giorno da leggenda, che siano un pezzettino di quello scudetto chiamato salvezza. Restare in A vorrebbe dire provare a ripetersi l’anno prossimo, e riprovarci l’anno prossimo significherebbe – vaccini permettendo – avere la spinta di una tifoseria pronta a far tremare gli stadi. Il suo e quelli degli altri, big incluse.

La nuova sfida è fare di Torino un punto di partenza, non di arrivo. Nessun ‘comunque vada’, ora si deve trovare il modo che vada esattamente nel modo giusto. Soltanto così il ‘sacco dello Stadium’, compirebbe il tragitto immacolato delle imprese, quello che dalla storia le porta dritte nel Pantheon dell’Epica. 

Exit mobile version